Il Divin Codino è gran film di Netflix e Mediaset, sia perché ripercorre l’esperienza calcistica di Roberto Baggio, ma soprattutto perché racconta la sua esperienza umana.
Parlo subito degli attori. Roby Baggio è interpretato dal giovane Andrea Arcangeli, bravissimo, ha assimilato la mimica e la voce del Nostro. Antonio Zavatteri è Arrigo Sacchi, identico. Martufello è la parte folcloristica di Carletto Mazzone. Tutti bravi, non c’è che dire. Il film non è uno vero e proprio biopic del calciatore, ma racconta i momenti significativi e personali di Roberto.
Baggio è stato uno dei più grandi campioni di calcio del mondo, pensate se poi non avesse avuto gli infortuni patiti! Una carriera affrontata in salita sia fisicamente e sia per i rapporti spesso difficili con gli allenatori che lo consideravano un’ombra alla loro autorevolezza.
L’ho seguito da tifoso e per lavoro e, scusate l’autoreferezialità, ho prodotto per una tv un programma con tutti i suoi 205 gol con tanto di interviste nei trasferimenti di squadra. Come calciatore non è da discutere e di fatto è conosciuto e adorato il tutto il mondo.
Il film parte con lui giovane al Vicenza che, in procinto di trasferirsi alla Fiorentina, ha il primo grosso infortunio, ma i viola lo tengono. Da lì si passa direttamente alla prima convocazione in Nazionale e poi al Mondiale Usa ’94. E qui ci sono le acredini con Sacchi che non ci fa una bella figura. Ma restano i suoi gol a partire da quelli con la Nigeria e poi… la finale.
Flashback del film: Voglio vincere il Mondiale contro il Brasile. Questa è la frase che a tre anni Baggio disse al padre nel 1970 dopo la sconfitta del 4-1. Ma poi scopriremo dell’altro. E siamo al Rose Bowl di Pasadena all’ultimo rigore, che sbaglia, il cui ricordo lo sta accompagnando ancora adesso.
Non ho mai tirato un rigore alto. Eppure… Questo è il destino.
Poi passa al Brescia di Corioni e di Carletto Mazzone e alla prima partita dopo l’ennesimo grosso infortunio segna due gol. Trapattoni lo illude di portarlo ai Mondiali in Giappone e Corea, ma non sarà così. Ma l’affetto del popolo c’è e si vede.
Dove finiscono le mie capacità inizia la mia fede, una forte fede, vede l’invisibile, crede l’incredibile e riceve l’impossibile.
Un paio di pensieri sparsi. Roby Baggio è nato con un talento, quello del calcio, non l’ha sprecato, anzi, ma ha dovuto convivere con i suoi infortuni e allenatori dispotici. Una carriera lavorativa in salita. Ha faticato di brutto, ha avuto i suoi momenti di crisi, umani, come chiunque, ne è uscito non solo con la sua volontà ma soprattutto con l’aiuto della famiglia e della fede buddista.
In un mondo che ormai gira dalla parte sbagliata, il film mette in luce l’importanza della famiglia: non quella allargata o del Mulino Bianco, quella dove lui è cresciuto ed è stato educato. E poi la moglie e i figli, con tanto di nomi e cognomi. Dai tempi di Firenze, in un momento difficile, ha incontrato l’esperienza buddista che vive tutt’ora. Non voglio giudicare questa religione, non sono all’altezza per farlo, sicuramente per lui è stata ed è un’esperienza profonda e vitale.
Ultima cosetta personale e scusatemi ancora. Tra un gol e l’altro di Usa ’94 si vede la gente che esulta guardando la tv, tra cui un prete capellone. Bene, il 5 luglio 1994 ero da alcuni parenti in Veneto e iniziata la partita Italia-Nigeria mi son ritirato in una stanza a vederla. A un certo punto arrivano due zie suore di mia moglie, una sulla cinquantina e l’altra sulla sessantina. Una di queste svolgeva in quel periodo la sua attività religiosa a… Caldogno, dove abitava Baggio. Non vi dico le urla da tifose accanite per il Divin Codino che segnò i due gol!
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