Per molti anni la demografia, e in particolare la questione della denatalità in Occidente, è stata censurata. Oggi, tra silenzi e mezze ammissioni, talvolta torna a far capolino nelle pagine dei giornali, ma rimane oscurato il vero pericolo, la bomba sulla quale siamo seduti. Fin dal marzo del 2005, il ceco Vladimir Spidla, compilò un “green paper” sulla crisi demografica, poi un libro bianco.

Insomma il materiale di riflessione non manca, tuttavia rimangono assenti le volontà politiche e culturali per un reale affronto del problema. L’invecchiamento della popolazione si protrae da 40 anni e sta conducendo il nostro continente a un’autentica implosione demografica. Si pensi che, mentre occorrono almeno 2,1 figli per donna per stabilizzare la popolazione nel tempo, i Paesi europei sono clamorosamente al di sotto di questa media: in Spagna è di 1,1; in Germania e in Italia è di 1,3; in Francia è di 1,7 solo grazie all’apporto dei numerosi immigrati islamici.

L’immigrazione tuttavia non risolve, né potrà sostenere la crescita demografica del continente europeo. Complessivamente, la media statistica della fertilità europea è oggi di appena 1,4 figli per donna, ben di un terzo al di sotto del livello minimo di sostituzione generazionale.
Se nel 1960 nascevano 7 milioni di bambini all’anno, nel 1976 eravamo già scesi a 6 e nel 2003 siamo ridotti a 4,63; se nel 1950 gli europei rappresentavano il 22% della popolazione mondiale, oggi sono scesi all’11 ed entro il 2030 si ridurranno all’8.

Ciò che rimane alto e inespresso è il desiderio di aver figli, le giovani coppie, in Italia come nel resto d’Europa, desiderano aver ben oltre i due figli. Il maggiore impedimento sono politiche, fiscali e clima sociale, per nulla “family friendly”, incapace di sostegno economico, sociale, imprenditoriale e comunitario idoneo perché dal desiderio si passi al “compimento” di tale desiderio di accogliere i figli.

 

 

La bomba demografica, la cui deflagrazione avrà effetti devastanti sui trend di vita di ogni generazione di cittadini europei, avverrà intorno al 2030, in Italia molto prima, a quella data vi saranno 20,6 milioni di giovani in meno, rispetto a oggi.
Se le politiche non cambieranno drasticamente, nei prossimi decenni la potenziale crescita economica dell’Europa non supererà l’1% annuo.

La crisi ha gelato ulteriormente le più rosee previsioni e, seppur in piccola misura, il rallentamento dell’inverno demografico non è sufficiente a evitare la catastrofe. La causa primaria del declino demografico è la profonda trasformazione subita dalla famiglia a partire dalla fine degli anni Sessanta, l’atomizzazione individualista ha prodotto un clima culturale e sociale imperniato al consumo immediato, alla palese noncuranza della posterità e del futuro.

Così, insieme allo sfascio dei legami familiari, si è prodotta un vera rottura del "patto generazionale" costitutivo di ogni tessuto civile e nazionale. Dunque, nella sbadataggine intorpidita attuale, l’Europa e l’Italia si avviano verso la propria fine storica e civile. C’è una via d’uscita?

A me pare che le informazioni e le riflessioni del recente "Rapporto sulla Povertà Alimentare", come il recentissimo incontro di Malta sulla povertà estrema,tra gli esperti dei Governi e la Direzione Generale della Coesione Sociale del Consiglio di Europa, ci debbano far riflettere. La solitudine, l’assenza o la miopia delle azioni dei governi verso il capitale umano, il capitale familiare e sociale, producono effetti devastanti per la singola persona e per la comunità. Ripartire da queste tre realtà,soggetti reali, non dalle opinioni, può essere un buon inizio per risalire la china e, se Dio vuole, evitare la deflagrazione prossima ventura.