I genitori italiani tengono all’oscuro i propri figli della crisi che investe la famiglia, preferiscono rinunciare a qualche acquisto personale (abiti, telefonino nuovo, viaggi), piuttosto che discutere in famiglia delle difficoltà. Lo dimostrano i dati della ricerca, su un campione di giovani tra i 15 e 24 anni, dell’Università di Firenze (“Centro Studi Minori e Media”), presentata la settimana scorsa.

È giusto questo comportamento? Io penso di no. I consumi dei giovani si sono ridotti poco o per nulla nell’acquisto di scarpe e vestiti (76%), libri e fumetti (tra il 91% e l’87%), musica e ricariche cellulare (78%), pc e videogiochi (68%). Mentre le famiglie soffrono pesantemente della crisi, i genitori adottano la politica dello “scudo” nei confronti dei figli, non fanno mancare nulla rispetto al tenore di vita precedente col duplice scopo di nascondere le difficoltà e proteggere dalle sofferenze.

Io penso sia un grave errore, frutto della crisi dell’idea e del compito dei genitori. Una famiglia è tale proprio perché al proprio interno è capace di solidarietà, è consapevole della situazione positiva o negativa che si affronta, appunto, insieme. Emarginare dalle situazioni di difficoltà i figli, significa non aiutarli a crescere, non educarli ad affrontare le difficoltà della vita quotidiana, evitargli l’educazione al “sacrificio”, al “risparmio”, al “tener da conto” gli oggetti.

Insomma, penso che sia più proficua la sincerità, una diffusa consapevolezza del momento difficile che si attraversa: da questo atteggiamento può scaturire una maggiore unità e consapevolezza di vivere in una famiglia. Non solo, talune virtù fondamentali per la crescita della persona, quella della tenacia, della sobrietà e della solidarietà, possono addirittura trovare terreno fertile nell’affronto comune di una situazione difficile.

Illudersi che la “serenità” del figlio non debba essere turbata dalla situazione e dalle preoccupazioni dei genitori è illusorio. I figli, fin dalla più tenera età, intuiscono e assorbono tutto ciò che avviene in famiglia, le parole dette e gli stati d’animo dei genitori vengono assimilati e determinano, molto spesso, i tratti dei comportamenti “morali” futuri. Esistono montagne di ricerche scientifiche che dimostrano questa “osmosi” familiare.

Trovo dunque sbagliato e illusorio pensare di proteggere i figli dalle difficoltà attuali, lo ritengo un atteggiamento che non rinsalda la famiglia, nella sua unità, e non contribuisce all’educazione degli stessi ragazzi. Non è nascondendo la realtà che essa cambia, anzi la povertà potrà solo aumentare.

 

L’istinto a “proteggere”, giusto in molti casi, provoca più danni di quanto crei benefici. È necessario dunque mettere a conoscenza, delicatamente ma con verità, i figli della situazione di impoverimento che si vive. Senza far drammi, ma rendendoli consapevoli di una comune responsabilità, nella buona come nella cattiva sorte.