Sedicimilioni ottocentomila europei vivono sotto la soglia di povertà. L’estrema povertà si “trasmette” di generazione in generazione e colpisce sempre più anche i bambini. Alla faccia dell’obiettivo decennale dell’Unione che voleva il 2010 come data finale della lotta alla povertà estrema nei 27 Paesi.

Sarà per la crisi, sarà per la sufficienza complessiva, sarà pure per quel senso di consapevole menefreghismo e di retrogrado cattoconciliarismo, ancor ben radicato, che vuole vedere i poveri solo in Africa o nei Paesi del Terzo Mondo, le politiche per sconfiggere la povertà si sono fermate agli annunci. Tant’è che l’Ue dedica questo 2010 proprio alla lotta contro questa condizione di sopravvivenza di milioni di cittadini, e ai bambini poveri europei.



L’annuncio fatto in questi giorni – l’apertura ufficiale sarà a Madrid intorno al 20 gennaio – rincuora tutti noi e, come per il protagonista dell’attualissimo “1984”, ci sentiamo meno pazzi di quando le medesime preoccupazioni, proporzionate al caso italiano, vennero presentate da Luigi Campiglio e Giorgio Vittadini.



Tuttavia, proprio le recenti parole del Papa, dall’Enciclica al Messaggio per la Giornata Mondiale Pace, ci invitano a spogliarci del sentimentalismo e anche dell’autocompiacimento di averlo detto prima, di averlo sospettato, persino di aver urlato prima di altri la devastante situazione in cui vivono milioni di italiani ed europei. Sarebbe troppo comodo fermarsi lì, troppo semplice coccolarsi nella preveggenza anticipatrice delle disgrazie altrui. No, se non vogliamo che la coesione sociale nell’intera Europa esploda, se desideriamo impegnarci veramente per il bene comune e, come anche le riviste patinate sono costrette a fare, ci interessano i bambini, allora è un “io” che deve muoversi verso un “tu” e deve farlo alla svelta.

Un soggetto che comprende sino in fondo l’inadeguatezza delle sole politiche assistenzialistiche finora perseguite dai governi, intuisce la somiglianza tra i propri desideri di verità e compimento con quelli di coloro che sono scivolati, per molte cause, nella solitudine e nella povertà senza incontrare nessuno che li sfamasse e li prendesse per mano. Vale per gli adulti, vale ancor più per i bambini europei, problema assolutamente e viziosamente censurato dalla maggior parte del circuito massmediatico.

Oggi, come le indagini dei diversi paesi dell’Unione dimostrano, i soggetti più deboli sono i bambini, tutti quanti, dai più pasciuti e sazi d’inutilità fino ai poverissimi. La trasmissione ereditaria, in una società sostanzialmente bloccata, è fonte del protrarsi di condizioni: mentre per i “coccolini” obesi di merendine e videogames l’eredità sono le turbe psichiche e la debolezza della personalità, per i figli dei poveri non rimane che l’accattonaggio e la fame.

Dunque, la speranza di tutti noi è quella di essere colpiti, strattonati, “choccati” da quel Fatto che tutti gli uomini impasta, una speranza cristiana che renda consapevoli della fraternità con tutti. Senza la riscoperta del perché siamo fratelli, anche questo Anno europeo si ridurrà a pacchianate prive di senso e rachitiche di soluzioni.

Senza considerare che lo spreco economico e sociale dell’umanità extra povera, perdita netta di “talenti” e forza lavoro, famiglie e vivacità sociale, impone una assunzione di responsabilità esplicita della politica. Riconoscere e investire nella “rete europea dei banchi di solidarietà” e delle “caritas” rappresenta non solo una effettiva attuazione del principio di sussidiarietà, ma anche un esplicito passo avanti verso una concreta idea di sfera pubblica finalmente non solo statale.

Inizia un anno decisivo per l’Europa e, come a farlo apposta, quest’anno i cattolici celebrano il “giubileo” di San Vincenzo de Paoli. Se proprio non ci siamo completamente intontiti, capiamo da soli cosa ci indica la Provvidenza.