La piazza San Giovanni accoglie sempre tutti, aveva accolto l’avanguardia della difesa della famiglia: tre anni orsono un milione di persone con carrozzine e bebè chiedeva con forza l’introduzione in Italia di misure fiscali eque. Non se ne fece nulla, nulla da allora è avvenuto e ancor oggi c’è una lotta all’ultimo spillo per risparmiare se nasce un figlio. Un’avanguardia inascoltata con la quale ancor oggi si stenta a fare i conti.



La grande piazza però ha visto nei giorni scorsi una retroguardia riempirla, composta da tute blu (sempre più in calo nel Paese), formazioni politiche di sinistra ed esponenti sparsi di forze politiche del maggior partito di opposizione, il Pd. Chi manifestava (rispettabile la buona fede e l’urgenza del lavoro), protestava per l’innovazione contrattuale introdotta “manu militari” e sul “filo del diritto” dalla Fiat.



Una manifestazione contro le innovazioni e flessibilità contrattuali dei “padroni”, ma anche una protesta contro il “cedimento” degli altri sindacati, Cisl e Uil in primis. Questi ultimi sono accusati di aver firmato l’accordo, accettato dalla gran parte dei lavoratori degli stabilimenti Fiat interessati. Sabato in piazza c’era un mondo che non esiste più, gente che fatica ad accettare il cambiamento che stiamo vivendo in Europa, malinconici del paleolitico fordista.

La Fiat, così molte delle nostre medie imprese, ormai ha acquisito una dimensione multinazionale e deve usare gli strumenti che altre sue concorrenti adoperano (flessibilità, qualità e produttività), per combattere nel mercato globale. Il problema teorico, è molto pratico. I due sindacati Cisl e Uil cercano di stare al passo con i tempi e con il mercato che cambia, non sarà facile per loro ma almeno si impegnano fortemente sulla nuova frontiera della difesa dei diritti e del lavoro nel mondo globalizzato post-crisi.



Chiunque proceda per l’altra via, in parte lo stesso fenomeno sta accadendo in Francia con le pensioni, chi pretenda di vivere in un mondo cristallizzato e fermo agli anni ‘70, vive semplicemente un “sogno” impossibile, spera in un ritorno al paleolitico delle relazioni industriali, in un mercato chiuso che non rinascerà mai più e in un ritorno a modelli post-fordisti di conflittualità di scontro d’antiquariato. Certo la nostra stessa normativa, quando era tempo di farlo, non si è aggiornata: sono ancora uno sparuto lumicino le imprese che rendono possibile una vera conciliazione e flessibilità tra maternità, paternità e nascita-cura dei figli, ancor meno sono le imprese nelle quali esistono reali compartecipazioni e forme di democrazia economica.

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Dovrebbe allarmare chiunque l’immagine della Piazza San Giovanni: non è una critica ai desideri e ai timori degli operai presenti, ogni persona di buon senso dovrebbe riflettere e preoccuparsi della accondiscendenza della leadership sindacale alle battaglie di retrovia, ma anche della presenza così folta e interessata di establishment politici. Partiti che fingono, per tornaconto elettoralistico immediato, di non vedere e non vivere in un contesto globale distante mille anni luce dallo scontro lavoro-capitale, esponenti politici che soffiano sul fuoco del malcontento e delle difficoltà per massimizzare i propri consensi, in sondaggi momentanei.

 

“Parti” che coccolano le “chimere” di ritorni al “passato remoto” non possono essere considerati né alternative di governo, né credibili opposizioni. La sfida sta nel governare i fenomeni nei quali viviamo, le sfide del futuro dovranno riempirsi di flessibilità, produttività e qualità, non certo di poster di Carlo Marx o magliette di Che Guevara. La posizione più attesa, per il giudizio che avrebbero espresso i propri esponenti, era quella della leadership del Partito Democratico, quello che aveva trovato nella “coppietta” Bersani-Letta e nel loro viaggio tra le imprese del nord un speranza di novità, un’aria nuova da respirare a pieni polmoni.

 

Ebbene, mentre poteva essere scontato l’ancoraggio al passato di Vendola, il populismo di Di Pietro, le malinconie degli anarchici, dal Pd ci si doveva aspettare molto. L’esito è ahimè noto, tra i buoni propositi e le prove di fatto, l’ex Partito Comunista Italiano è rimasto tale e quale, l’evoluzione nominalistica non è stata preceduta da nessun cambio di rotta. Non solo la politica ma anche il Paese dovrà farsene una ragione: a malincuore e come nel resto d’Europa (Francia docet), la sinistra non sa come raccapezzarsi nel mondo contemporaneo.

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