Esiste un modello di sviluppo lombardo che negli ultimi decenni ha preso via via coraggio e si è rafforzato?

Al di là dell’orgoglio, della superiorità morale che ha sempre caratterizzato l’idea della milanesità e dell’appartenza lombarda nei confronti di Roma, le cui radici si trovano molto lontane nel tempo e risalgono a ben prima della nascita di un partito lombardo, si può ben dire che il modello lombardo esista e si sia sviluppato, nel caos delle applicazioni e delle devoluzioni normative di competenze regionali, ordinatamente.

Se nei primi decenni, dopo la nascita dell’istituto regionale, la guida e il modello regionale lombardo era caratterizzato dall’idea, quasi ossessiva, del lavoro e dell’economia imprenditoriale. Se la “furia caotica” della crescita finanziaria e della moltiplicazione delle imprese ha segnato il “primo tempo” del modello lombardo. Il tempo odierno è quello di un modello che si trova nella “terra di mezzo”, soprattutto a seguito della furia economica, positiva e negativa, dell’ultimo decennio, e il modello lombardo vive tra grandi apprezzamenti e contraddizioni naturali.

Noi lombardi abbiamo sempre fretta, non sappiamo stare con le mani in mano e certo abbiamo nel nostro “dna” l’operosità propria di una società tradizionalmente legata al senso del dovere professionale. Tuttavia, tutto ciò ha rallentato la nostra visione d’insieme dello sviluppo regionale, gli stessi faticosi e positivi passi per recuperare il tempo sulle infrastrutture materiali e immateriali ci dimostra meglio come siamo fatti e su cosa ci siamo concentrati negli anni.

Il “modello lombardo” dei governi regionali degli ultimi anni si è contraddistinto per la puntuale applicazione del principio di sussidiarietà, che ha avuto concrete riprove della sua efficacia attraverso misure che si sono espresse nella valutazione e nella valorizzazione delle eccellenze nell’ambito del non profit, delle scuole pubbliche non statali e delle associazioni e dei corpi intermedi. Misure che sono state, tra l’altro, un riferimento concreto di quelle politiche nazionali che hanno favorito la libertà di scelta delle famiglie con l’introduzione di buoni e voucher.

Sebbene l’indice di benessere e apprezzamento, nei confronti dell’opera svolta dai recenti governi regionali, sia molto alto, dobbiamo considerare anche un’ampia fascia di cittadini, noi stessi, che sono disponibili e desiderano altri miglioramenti nelle proprie condizioni di vita e nelle azioni politico amministrative.

Ambiente, soddisfazione e tempo libero, politiche familiari promozionali verso le giovani coppie e le famiglie con figli, sviluppo di reti tra le imprese e tra quest’ultime e i centri di ricerca lombardi, maggiori sostegni all’occupazione e riqualificazione sono, tra gli altri, molti dei desideri di miglioramento che ci aspettiamo dall’evoluzione del “modello lombardo” nei prossimi anni.

Bene ha fatto il Cardinale Tettamanzi,in questi ultimi anni, a riprendere una delle caratteristiche azioni pastorali dei suoi predecessori, entrare nell’agone pubblico e indicare le virtù morali e civili che hanno sempre definito la società e la peculiarità lombarda: operosità e solidarietà.

Da questo punto di vista, è necessaria una azione concorde da parte di tutte le forze politiche e sociali lombarde, è indispensabile immettere quella “tradizione creativa”, per dirla con le parole di Del Noce, nel tempo e nelle scelte concrete di oggi. Ciò vale sia nei riguardi del capitale umano disoccupato (imprenditori e dipendenti), sia nei confronti della povertà crescente di famiglie e anziani, sia nell’affronto delle politiche migratorie regolari (al di là delle competenze nazionali in materia).

 

 

 

La direzione di sviluppo del modello lombardo deve dedicarsi, in questa fase di forte evoluzione dell’economia internazionale, verso sostegni certi e produttivi ma anche, direi soprattutto, verso la valorizzazione di quelle fucine di capitale umano che sono le Università e Centri di eccellenza accademica e scientifica. Lì si gioca e si giocherà una parte fondamentale della credibilità del nostro modello per i posteri, sul quel terreno il tempo dimostrerà se e come la Lombardia saprà essere uno dei protagonisti, uno dei motori di sviluppo europei.

Quindi, un modello positivo esiste ed esiste una larga virtù civile e un ampio capitale sociale che dobbiamo mettere in campo appieno se desideriamo lasciare al futuro dei lombardi maggiori opportunità e benessere. Al di là delle scelte politiche che ciascun cittadino farà nelle prossime elezioni, dovrebbe accomunarci questo comune desiderio e impegno, dall’ambiente sino all’occupazione del capitale umano. Anzi, questa sarebbe la conferma più trasparente della reale esistenza di un’idea lombarda di sviluppo e la sufficiente certezza che tale modello possa rinnovarsi positivamente nel futuro, così come è accaduto in passato.

L’occasione straordinaria dell’Expo Universale nel 2015 deve essere per noi tutti, anche simbolicamente, la prima importante verifica comune di questo orizzonte lombardo, di una speranza futura e feconda di un modello.