“Le norme sulla non discriminazione sui luoghi di lavoro in base all’orientamento sessuale introducono un elemento non giuridico nell’ordinamento legislativo. Nessuno infatti può provare scientificamente di essere o meno omosessuale nel corso di un colloquio di lavoro”. Lo afferma Luca Volonté, direttore della Fondazione Novae Terrae, dopo che la nuova legge contro le discriminazioni sul posto di lavoro sta causando forti polemiche negli Stati Uniti. Alcuni vescovi americani hanno scritto una lettera nella quale si afferma che la norma rischia di ledere la libertà religiosa. Nell’Ue esiste già una direttiva in materia approvata nel 2010 e in seguito recepita dall’Italia.
Onorevole Volontè, quali sono le conseguenze della direttiva Ue contro le discriminazioni?
La direttiva Ue, attraverso il criterio della non discriminazione sul mondo del lavoro, di fatto crea delle categorie di ineguaglianza nei confronti di chi non ritiene di dover dichiarare la sua sessualità nel momento dell’assunzione. Introduce cioè principi giuridici poco consoni al procedimento civile. Il datore di lavoro si trova nelle condizioni di dover affrontare un contenzioso nei confronti di chi dichiarasse di non essere stato assunto in quanto omosessuale. Per cautelarsi di fronte a queste situazioni, in molti casi il datore di lavoro sarà costretto a chiedere al candidato i suoi orientamenti sessuali nel corso del colloquio. In questo modo però, anziché tutelare maggiormente la riservatezza delle scelte sessuali, queste ultime finiscono per essere esposte in pubblico.
Questa norma introduce anche dei problemi etici come quelli denunciati dai vescovi Usa?
Innanzitutto crea un problema di linguaggio, in quanto l’orientamento sessuale finisce per essere non solamente quello dell’omosessuale o dell’eterosessuale, ma anche del transgender e perché no del pedofilo. L’associazione degli psichiatri americani da alcuni giorni ha dichiarato che la pedofilia può a sua volta essere intesa come un orientamento sessuale. La direttiva Ue, così come la legge Usa, si basa quindi su un linguaggio indefinibile dal punto di vista giuridico. Un conto è la non discriminazione nei confronti degli uomini o delle donne, un altro ciò che riguarda un fantomatico orientamento sessuale che può comprendere tutto e il contrario di tutto.
C’è un tentativo di stabilire un fondamento biologico dell’omosessualità?
Il problema è che è difficile identificare un fondamento giuridico oggettivo nei confronti di un desiderio sessuale, tale da metterlo sullo stesso piano della differenza biologica tra uomo e donna. Il dibattito sulle discriminazioni sul posto di lavoro nasce dieci-quindici anni fa, in un momento in cui a parità di professionalità un sesso, il più delle volte quello maschile, era premiato rispetto all’altro, di solito quello femminile. Ora non ci si basa più su questa differenza biologica, ma su una caratteristica insondabile.
In che senso insondabile?
Nel senso che non si può provare scientificamente di essere eterosessuale o omosessuale, tantomeno nel corso di un colloquio di lavoro. Non dimentichiamoci che una persona può essere temporaneamente omosessuale o bisessuale o transgender, nonché tutte e tre le cose contemporaneamente. L’unica differenza resta alla fine come uno si sente in un determinato giorno. La direttiva Ue introduce dunque nel meccanismo giuridico degli elementi che non sono giuridici.
A che punto è invece il dibattito in Italia?
La direttiva Ue è stata recepita anche dall’Italia, ma finora non si sono registrati casi eclatanti relativi alla sua applicazione. C’è però un altro aspetto di cui occorre tenere conto.
Quale?
Poniamo che una coppia omosessuale che ha contratto il matrimonio in Francia, o l’unione civile nei Paesi Bassi, si rechi in Italia. A quel punto può chiedere l’applicazione dei benefici che avrebbe avuto nel suo Stato d’origine. Poiché l’Italia però non riconosce le coppie civili omosessuali o l’unione civile omosessuale, non consente questo tipo di riconoscimento.
(Pietro Vernizzi)