Era il 24 ottobre 2003 quando i titoli delle prime pagine di tutti i giornali italiani mettevano in grande evidenza come il “divorzio rapido” fosse stato affondato dall’aula di Montecitorio.
Una strana e imprevista maggioranza trasversale si era composta, senza estenuanti riunioni segrete e conciliaboli nel Transatlantico, e in Aula una serie di rapide e determinate scelte portarono al voto segreto e alla maggioranza contraria al “divorzio breve”. Si spaccarono i due partiti di centro destra e centro sinistra, un partito di ispirazione cristiana si oppose chiaramente, la Lega lasciò libertà di coscienza. Risultato, una proposta di legge ampiamente sostenuta dalla Commissione Giustizia venne respinta e sepolta dalla maggioranza dell’Aula e scomparve dai programmi e dai dibattiti per anni.
Ci volle coraggio, ci volle audacia, generosità e determinazione. Chi scrive venne descritto come “un panzer”, “lo stratega” o molto più facilmente come lo “zerbino del Vaticano”. Tuttavia la scelta di Elio Vito di chiedere il voto segreto per coprire le divergenti opinioni interne al gruppo di Forza Italia, fu molto intelligente, utile per ragioni interne e per coloro che apertamente si opponevano al provvedimento. Oggi la medesima ampia compagine multipartitica vuole, a dieci anni di distanza, riprovare nell’impresa di “favorire” il divorzio.
Un déjà-vu: molte persone sono le stesse, le procedure e i consensi in Commissione sono della stessa ampiezza, ma è lecito attendersi una conclusione simile nella discussione in Aula?
Lo vedremo nelle prossime settimane. Ovviamente io faccio il tifo per la famiglia e sono contrarissimo a una proposta che nulla a che fare con la lunghezza dei divorzi, mentre vuole (consapevolmente o meno) accelerare la distruzione famigliare e svalutare le promesse matrimoniali.
Sarebbe interessante capire da quale compagine famigliare muovono questi paladini del divorzio breve; temo che troveremo molti divorziandi tra i promotori che abbelliscono le proprie intenzioni con citazioni altisonanti e dati estrapolati a casaccio, pur di promuovere una propria necessità quale fosse il desiderio reali di milioni di cittadini. Il fatto semplice, paradossalmente emerso da una polemica sui “matrioni gay” negli scorsi mesi, è che in Italia non c’è nulla per le famiglie, nulla di nulla, e in questa landa desolata, nella quale le famiglie sono abbandonate a se stesse, la stabilità matrimoniale viene non solo corrosa dall’interno ma anche sistematicamente aggredita dallo Stato.
Dei costi economici, sociali e personali dei divorziati ovviamente non si parla, anzi si vorrebbe semplificare lo scioglimento del matrimonio più di un contratto con l’operatore telefonico, svilendo il dettato costituzionale sulla famiglia e ridicolizzando le stesse previsioni civilistiche.
Il matrimonio è una promessa, ma promessa di cosa, in questo caso? Non si promette ciò che non si può mantenere, oppure da domani si prometterà nella consapevolezza che sarà “breve”. Dunque, matrimoni da banco e soddisfazioni veloci e rimborsabili. Peccato che questa retrograda proposta non trovi opposizioni nelle fila dei socialisti o dei laici; brutto segno che anche i cristiani non siano così pronti ad opporvisi.
Certo un Paese nel quale la stragrande maggioranza dei giovani desidera sposarsi e stabilmente e avere più di due figli, ma nello stesso tempo non può cogliere nessuna o pochissime opportunità abitative, è abbandonato alla disoccupazione o spinto alla fuga, e non può usufruire di decenti norme per accudire ai propri figli, ha già scelto di voler distruggere la famiglia.
Non esiste un fisco famigliare, nessuna politica per la natalità, nessuna razionale “family friendly policy” nei livelli amministrativi, poco o nulla per le giovani coppie e le famiglie numerose, e a fronte di ciò le famiglie che resistono devono provvedere alla mancanza di opportunità per i propri figli, assorbire i disastri della crisi finanziaria e occupazionale, sussidiare lo Stato (ribaltamento della sussidiarietà) nella mancanza di servizi all’infanzia e nella incivile illiberalità di scelta educativa. A fronte di questo, molte amministrazioni pubbliche in molti campi, non ultimo quello dei “posti per asili nido”, promuovono le opportunità per genitori singoli e divorziati.
Oltre a tutto ciò – lo svilimento e la corrosione che si vuole promuovere nel sistema giuridico, civile e sociale della nazione – questo “matrimonio/divorzio breve” parte dalla duplice idea di voler affermare da un lato l’impossibilità di scelte definitive tra le persone che contraggono il matrimonio, dunque della famiglia; dall’altro, attraverso questo provvedimento, si vuole promuovere l’idea di una società fondata solo su sensazioni e patti temporanei di lealtà e responsabilità reciproca.
Se da un lato infatti la “semi promessa” o il “breve matrimonio” presuppone istintività e temporalità, invece di amore e progetto di vita, ciò porterà nel breve a una conseguente conclusione: matrimoni civili LGBT.
Il matrimonio breve, di questo si tratta, promuoverà la temporaneità dei rapporti sociali, instabilità come segno di modernità e positività, con la conseguenza di accrescere il numero delle marginalità sociali e dei costi in termini di capitale umano e sociale. Se la famiglia stabile è produttrice di capitale umano e sociale, come ormai è noto a livello scientifico internazionale, la famiglia breve produrrà il contrario, con l’aggravio delle sofferenze.
Diceva bene Chesterton nel suo Uomo Vivo: “Lei mi ha convinto che è veramente malvagio e pericoloso per l’uomo fuggire dalla propria moglie”. “E perchè è pericoloso?”. “Perché nessuno potrà più trovarlo e invece tutti abbiamo bisogno di essere trovati”. Contro la scomparsa dell’Italia, anzi è per la sua promozione che bisogna opporsi al matrimonio breve o divorzio bancomat che dir si voglia. Dieci anni orsono è stato possibile, dunque anche oggi vale la pena di mettersi alla ricerca di uomini coraggiosi!