Mi ha impressionato molto la pubblicità di queste settimane in cui si cercano volontari per “provare” le nuove montagne russe, in particolare la nuova discesa in verticale, in un noto villaggio di divertimenti italiano. Teniamoci ben stretti, infatti mai ci sono state accelerazioni così sincronizzate e speculazioni così aggressive nei confronti del nostro Paese in materia di diritti omosessuali. Non voglio qui sottolineare la decisione di ieri della Corte di Cassazione sulla non necessità di operazioni cliniche per il cambio di genere anagrafico, piuttosto e oltre a ciò all'”Action Plan” licenziato dal Consiglio Europeo (approvato il 20 luglio) sui diritti umani e la democrazia, si deve aggiungere la Sentenza della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo sui casi Oliari e Orlandi, riguardo al riconoscimento di diritti alle unioni civili omosessuali in Italia.
Due cunei importanti e significativi di una strategia che vuole e pretende lo scardinamento della intera cultura nazionale e della tradizione civile del Paese. Qui non si vuole polemizzare o discutere sulla necessità del riconoscimento di taluni diritti individuali, ma di una vera e propria aggressione verso la quale né il Parlamento, né il Governo paiono volersi opporre. Anzi, se pensiamo all’“Action Plan 2015-2019” approvato ieri, dobbiamo prendere atto come, al pari dell’Amministrazione Obama, la tematica e i diritti LGBTI siano diventati i principali cardini della attuale e prossima attività del Consiglio e di tutte le strutture europee: sia al proprio interno, sia verso gli stessi Paesi dell’Unione, sia nei rapporti bilaterali e multilaterali della medesima Unione (ad esempio paragrafi 9.b; 14.b; 15.e). Naturalmente – e ammesso che i rappresentanti dei Paesi al Consiglio Europeo abbiano informato i loro referenti nazionali – su questo “Plan” c’è stato pieno consenso, diversamente dalle divisioni sull’immigrazione. Nessuno stupore, soprattutto dopo il discorso attribuito al Vice Presidente della Commissione Europea Frans Timmermans durante l’Equality Gala – organizzato da ILGA-Europea Bruxelles lo scorso 24 giugno 2015 – nel quale si assicurava non solo il sostegno (anche finanziario) ma soprattutto l’impegno a tutto campo per la piena approvazione in ogni Paese della Ue di matrimoni/unioni civili omo e trans, o quantomeno il riconoscimento da parte di tutti i Paesi dei legami contratti all’estero.
Con l’accelerazione odierna, mi riferisco alle motivazioni delle due sentenze emesse dalla Corte dei Diritti Umani di Strasburgo (la sentenza sul caso Oliari; la sentenza sul caso Orlandi) si assecondano a pieno titolo le richieste sulla approvazione della “proposta Cirinnà” da parte del Parlamento Italiano. Sangue freddo sarebbe vieppiù necessario in questa materia e con questo caldo, non solo climaticamente parlando. Citando a piene mani le diverse sentenze delle supreme corti italiani, dalla Cassazione alla Sentenza n.138 del 2010 della Corte Costituzionale, i giudici di Strasburgo chiedono che l’Italia «riconosca tali unioni e relazioni omosessuali», mentre la Corte Costituzionale chiedeva al Parlamento di legiferare su diritti e doveri nelle unioni omosessuali. Tuttavia è noto che ogni Corte, incluse quelle italiane, potrebbe cambiare la propria opinione nei prossimi giudizi, quindi suona strana la decisione ordinatoria della Sentenza di Strasburgo. Molto strano è che il nostro Governo in giudizio non abbia invocato il tradizionale concetto di famiglia, né i valori morali della società; è poi francamente difficile da comprendere come la Corte di Strasburgo abbia potuto affermare che «gli italiani sono favorevoli alla legalizzazione delle ‘civil partnership’ per le coppie omosessuali» (paragrafo 181). Quantomeno siamo di fronte a un giudizio poco democratico sulla società italiana e nei confronti del Parlamento del nostro Paese che dovrà decidere se e come legiferare su questo tema. Perciò, per la dignità del nostro Paese, prima ancora che per il merito, ci attendiamo che il Governo Italiano appelli la Sentenza e si possano presentare alla “Gran Camera” le ragioni e l’orgoglio democratico di un Paese civile come il nostro. Il diritto di partecipare alle formazioni sociali (articolo 2 della Costituzione), è ben diverso da quello famigliare (art.29 e seguenti)e forse, per tagliare la testa a questo “toro”, basterebbe inserire nelle riforme costituzionali in corso due semplici paroline proprio al primo comma dell’art. 29: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, di un uomo e di una donna».