Forse l’Europa pensa ancora di essere al centro del mondo, forse dell’universo come lo eravamo nel tanto vituperato (da noi) medioevo e rinascimento. Non è più così, l’Europa non è attesa da nessuno dei playmakers geopolitici mondiali e questo è un altro segno della nostra decennale inconsistenza. Stiamo perdendo tempo per decidere che cosa fare, quando l’opzione exit di Londra avrebbe dovuto essere considerata sin dal giorno della decisione di tenere un referendum. Non è stato così, eppure ci sono politici accorti nelle capitali europee e nella stessa Bruxelles. E’ sfuggito però ai nostri governanti come ogni loro dichiarazione “pre-Brexit” a favore della permanenza, da Obama a Lagarde, da Juncker a Hollande, era percepita nel Regno Unito come un’intrusione nel processo democratico, come una violenza verso le istituzioni e il libero voto democratico. Così, non è comprensibile la recente dichiarazione del Presidente Tusk a chiusura dell’ultimo vertice europeo che lo descriveva come un “British summit”, senza tracciarne non solo prospettive d’uscita, ma spunti per il rilancio di un protagonismo europeo. In ogni caso, è evidente quanto l’Europa stia marcando la propria autoesclusione dai players mondiali e pure mediterranei.
Verso la Russia infatti, alle parole dei leader di diversi paesi sullo stop all’automatismo delle sanzioni contro il paese di Putin, non sono seguiti sinora i fatti. La decisione degli ambasciatori e plenipotenziari a Bruxelles delle scorse settimane ha semplicemente registrato l’unanime volontà di riapprovare automaticamente le sanzioni.
Nel frattempo la scorsa settimana, al di là delle preoccupazioni per l’inutile e dispendiosissima esercitazione Nato nei paesi dell’Est al confine con la Russia, la stessa Russia di Putin ha firmato accordi economici e strategici giganteschi con la Cina. Entrambi i paesi non stanno certo aspettando le scelte europee. Si tratta di un piano strategico, economico e infrastrutturale globale che riecheggia la nuova via della seta, con milioni di miliardi di investimenti previsti nel prossimo decennio, una “via” nella quale non c’è posto per l’Europa. Marco Polo si rivolta nella tomba e con lui l’intera storia europea.
Verso la stessa Turchia l’Europa si sta mostrando evasiva, poco concreta. Il paese di Erdogan, dopo aver ricevuto promesse (forse eccessive) dalla Ue e averle viste via via contraddette, non senza scuse strumentali, nelle ultime settimane ha ripreso le relazioni diplomatiche con Israele e chiuso l’episodio della Freedom Flotilla, che tanto aveva scaldato gli animi europei. Non solo; Erdogan, dopo aver incontrato il leader di Hamas ha incontrato il leader palestinese Abbas proprio per discutere anche con loro la propria ripresa delle relazioni con Israele. Non si attende la cenerentola europea nemmeno nel Mare Nostrum, nemmeno per una “normalizzazione” di Gaza.
Infine, è di martedì scorso la notizia, confermata sia dai mass media russi che da quelli turchi, di un contatto formale, una lettera tra Erdogan e Putin, una telefonata e un appuntamento già fissato tra i ministri degli Esteri e tra i due presidenti.

Sono state presentate scuse per l’abbattimento del velivolo russo e le sanzioni russe verso la Turchia sono state cancellate. Una ripresa che favorirà non solo la pace e lo sviluppo economico tra i due colossi, ma potrebbe anche aprire nuove prospettive in Iraq, Siria, lotta all’Isis, e perfino nei rapporti tra Armenia e Azerbajian sulla questione del Nagorno-Karabach, senza escludere la definitiva pacificazione tra le due parti di Cipro.
Francamente, aver criticato con asprezza la legge turca sull’antiterrorismo da parte di molti organismi europei, oggi, dopo l’ennesimo attentato ad Istanbul, ci dovrebbe far riflettere molto. Forse avremmo dovuto pensare con attenzione alle tragedie turche anche prima dell’attentato sanguinoso di questi giorni. Dal 20 luglio 2015, 446 poliziotti e militari uccisi, 201 civili uccisi, 2.866 militari e poliziotti feriti e 1.221 civili feriti sono il risultato degli attacchi terroristi sul suolo turco (per molti meno morti molti paesi europei, negli anni ’70, ’80, ’90, hanno introdotto leggi speciali antiterrorismo non dissimili dalla legge turca).
La costa sud del Mediterraneo continua a rimanere nel caos e gli sbarchi di povera gente proseguono e ancor più si moltiplicheranno nella speranza di un’Europa migliore. Il mondo ci sorprende per le tante cose storte ma anche, come negli ultimi giorni sta accadendo, per le tante sorprese buone e feconde di nuovi rapporti diplomatici e riappacificazioni tra nazioni.
Ciò che colpisce è la diffusa e flebile consapevolezza di taluni commentatori circa la mancanza di identità europea, un deficit di consapevolezza del continente che si esprime anche nella mancata attenzione ai giovani. I paesi che sono fieri e consapevoli della propria identità, seppur tra le asperità e le difficoltà del tempo, sanno qual è la propria prospettiva storica e la perseguono. Noi europei abbiamo perso la “ragione sociale” dello stare insieme da molto tempo e, a causa del relativismo morale e delle illusioni economico-speculative, la stessa Unione Europea viene percepita talvolta troppo evanescente e incerta (immigrazione, politiche di sviluppo), talvolta eccessivamente intrusiva (regolamentazione eccessiva). Senza le ragioni di fondo, quei valori che partivano da radici forti e ben piantate nell’humus giudaico-cristiano, senza le fondamenta e i muri portanti, ogni suppellettile di arredamento appare a noi stessi e a chi ci guarda nulla più che un malinconico segno kitsch.