Crisi zona euro e salvataggi, nessuna trasparenza da parte del Fmi. Sì è pensato a salvare le banche del nord Europa e il sistema euro e a far pagare la poca trasparenza e i propri errori ai cittadini greci (e non solo). Questa la denuncia nel recentissimo Report di Ieo (Organismo di controllo indipendente del Fmi). Un Report che si deve leggere per capire non solo i recenti avvenimenti europei, ma anche la situazione attuale. Ovviamente, per ragioni ben comprensibili, un lungo articolo del 29 luglio scorso del The Telegraph descrive i contenuti principali del Report. Stupisce e amareggia che sia stato l’unico quotidiano europeo a parlarne.

Il personale al vertice del Fmi ha fatto una serie di errori di valutazione drammatici sulla Grecia, si è comportato in modo “euforico” sulla zona euro, ha ignorato ogni segnale di allarme sulla crisi economica e finanziaria europea. “La mancanza di coinvolgimento del Consiglio del Fmi è stata una caratteristica costante in tutto il periodo della crisi dell’euro. La maggior parte dei membri del Consiglio non sono stati tenuti informati degli sviluppi in corso, né del ruolo del Fmi nella zona euro, alcuni dei membri del Consiglio hanno denunciato di aver saputo di decisioni prese dal Fmi solo per mezzo della stampa, non certo da Consigli formali o ‘informali’ tenutisi in quegli anni. Non c’era stata nessuna discussione in Consiglio sul ruolo del Fmi nel 2012 alla costituzione del Meccanismo europeo di stabilità”. Una denuncia chiara e fortissima sulla situazione interna e la trasparenza nel Fmi.

Questo è il verdetto lacerante del “cane da guardia”, l’organo di controllo del Fmi sul ruolo politico svolto dal Fmi nella crisi del debito della zona euro, l’episodio più dannoso nella storia dell’istituzione di Bretton Woods. Basterebbe leggere le Raccomandazioni (par. 129-144) per avere un chiaro giudizio su come si è lavorato e quale parzialità abbia guidato l’azione del Fmi dal 2010 a oggi. Molti documenti su cui si sono basate le decisioni del Fmi sono stati preparati al di fuori dei canali stabiliti e molta documentazione scritta su alcune questioni delicate non è stato possibile valutarla, afferma il Rapporto Ieo. Esso descrive una “cultura della compiacenza”, incline all’analisi “superficiale e meccanicista”, e traccia una ripartizione scioccante nella “governance” del Fondo monetario internazionale, facendo trasparire un’accusa velata alla gestione Lagarde. 

La relazione di valutazione ufficio indipendente del Fmi (Ieo) risponde unicamente al consiglio di amministrazione esecutivo. In essa si accusano i tre salvataggi principali di Grecia, Portogallo e Irlanda come azioni “senza precedenti”, sia per la scala di interventi, sia per il loro carattere. Al trio di paesi è stato permesso di prendere in prestito più del 2000% del loro contingente assegnato – più di tre volte il limite normale – e la cifra di prestiti complessiva rappresenta l’80% di tutti i prestiti da parte del Fondo tra il 2011 e il 2014.

Il Rapporto ammette che i propri investigatori non sono stati (quasi sempre) in grado di ottenere i dati chiave o penetrare le attività di “task force ad hoc” segrete. “Molti documenti sono stati preparati al di fuori dei canali stabiliti e regolari e non è stato possibile reperire la documentazione scritta su alcune questioni delicate. L’Ieo in alcuni casi non è stato in grado di determinare chi ha preso certe decisioni o le informazioni che erano disponibili, né è stato in grado di valutare i ruoli relativi di gestione e del personale “, si sottolinea nel Report.

Il Rapporto afferma che l’intero approccio alla zona euro è stata caratterizzata da un “pensiero positivo di gruppo”, perché tutti avevano escluso fosse possibile una crisi sistemica della e nella zona euro. “Prima del lancio dell’euro, dichiarazioni pubbliche del Fmi tendevano a sottolineare i vantaggi della moneta comune. Dopo un caldo dibattito interno, la visione di sostegno a ciò che è stato percepito come progetto politico dell’Europa ha alla fine prevalso”. Questo pregiudizio pro-euro ha continuato a “corrompere” l’approccio del “top management” del Fmi per anni. “Il Fmi è rimasto ottimista circa la solidità del sistema bancario europeo e la qualità della vigilanza bancaria nei paesi della zona euro fino a dopo l’inizio della crisi finanziaria globale a metà del 2007. Questo ritardo di valutazione era in gran parte dovuto alla disponibilità del Fmi di ricevere le rassicurazioni dalle autorità nazionali”, si dice ancora nel Rapporto. “Che il Fmi non sia riuscito ad anticipare nulla di tutto questo è stato un grave errore scientifico e professionale”.

Il Fmi era in una posizione invidiabile per agire agli albori della crisi greca, infatti la crisi di Lehman era ancora fresca ed erano state espresse preoccupazioni che un tale evento potesse contagiare anche la zona euro o i paesi più deboli, nel contesto della fragilità dei mercati globali. La zona euro non aveva “firewalls” contro il contagio… eppure si è ritenuto troppo pericoloso spingere per una ristrutturazione del debito in Grecia.

Mentre le azioni del fondo erano comprensibili nel calore bianco della crisi, la dura verità è che il piano di salvataggio ha sacrificato la Grecia per salvare l’euro e le banche del nord Europa. La Grecia sopportò le richieste draconiane verso l’austerità imposta dal Fmi, senza la compensazione da parte del Fondo stesso per la riduzione del debito e la svalutazione per ripristinare la redditività.

Il sub-report sulla “saga greca” spiega come il Paese ellenico sia stato costretto a passare attraverso una stretta sconcertante, pari a 11% del Pil nei primi tre anni. L’ingiustizia è che il costo dei salvataggi è stato pagato dai cittadini greci – i più deboli e quelli meno in grado di sostenerne il peso – e non è mai stato riconosciuto che il vero motivo di questa “stretta sulla Grecia”, scelta politica fatta da Ue e Fmi, era di proteggere l’unione monetaria. In effetti, i greci sono stati ripetutamente accusati per gli errori che derivavano dalla politica stessa. 

“Se prevenire il contagio internazionale è una preoccupazione essenziale, il costo della sua prevenzione avrebbe dovuto essere a carico – almeno in parte – della comunità internazionale quale primo beneficiario”, conclude il Report.