Tutti (o quasi tutti coloro che un tempo venivano chiamate “persone colte”) conoscono il “Primo Faust” di Goethe (anche chiamato lo Urfaust) scritto tra il 1773 ed il 1775, ispirato alla tragedia elisabettiana di Marlowe e di impronta Sturm und Drang, ma pochi sanno che il Faust di Gounod, comunemente rappresentato, è la versione del 1869 predisposta, al termine del Secondo Impero, per l’Opéra di Parigi. In questa versione, che teneva conto dei canoni stilistici del grand opéraFaust è circolato e circola in tutto il mondo e gareggia con Carmen di Bizet per essere l’opera francese più allestita ed eseguita al mondo.



C’è, però, un primo Faust di Gounod andato in scena dieci anni prima, raramente rappresentato anche perché l’autografo è stato ritrovato di recente e di cui sino ad ora non esiste un’edizione discografica adeguata. Ho un vago ricordo di un allestimento, negli Anni Settanta, allo Hartke Theater dell’Università Cattolica di Washington; Father Hartke (il domenicano che ha diretto per anni la scuola di musica e di dramma dell’Università) amava fare sperimentare gli allievi con partiture poco eseguite e riusciva a farsi dare scene e costumi dismessi dal Metropolitan di New York. Il ricordo è pallido ed influenzato dalla pessima dizione in francese dei giovani cantanti-attori americani. Dizione tanto più importante in quanto il Faust del 1859, non è una prima versione o prima bozza di quello di dieci anni dopo, ma un’opera completamente differente che segue i canoni dell’opéra comique ed in cui i numeri musicali sono collegati da dialoghi parlati. Allora non era un’operazione filologica ma piuttosto una ricostruzione.



Ora, grazie al lavoro del Palazzetto Bru-Zane- Centre de Musique Romantique Française si può gustare il Faust del 1859. E’ presentato in un elegante volume di circa 200 pagine con saggi, brani delle memorie di Gounod ed, ovviamente, il libretto, nonché riproduzioni di stampe della prima rappresentazione. Nella copertina e nella controcopertina, si celano tre CD con l’edizione filologica e quindi integrale dell’opera.

Dalle prime battute, si avverte che siamo alle prese con due opere differenti. C’è poco, anzi quasi nulla del grand opéra a cui siamo abituati ascoltando il Faust di Gounod del 1869. Tutto è più lieve, più morbido, più sensuale. Ha fatto una scelta giusta il direttore artistico del Palazzetto Bru-Zane Centre de Musique Romantique Française ad affidarsi a Christophe Rousset ed ai suoi Talents Lyriques, nonché al bravissimo coro della Radio Fiamminga (tutti di solito impegnati specialmente in musica del Settecento o dei primi decenni dell’Ottocento) invece che a specialisti di musica della seconda metà dell’Ottocento. Ne escono suoni più delicati, più leggeri e meglio adatti alle voci. Che sono anch’esse differenti da quelle del Faust 1869. Molti numeri sono differenti da quelli del 1869.



 In primo luogo il protagonista, il giovane Bejamin Bernheim. Ricordo il Faust 1869 di norma affidato a tenori spinti quali Gedda, Corelli, Domingo, Bernheim è, invece, un tenore lirico francese che ha studiato a Ginevra e fatto parte per anni della scuderia dell’Opera di Zurigo. Dalla cavatina Salut, demeure, si avverte come sa risolvere benissimo le note difficili e gli acuti. Ottimo anche il Méphistophélès di Andrew Foster Williams (la cui dizione francese è perfetta anche se l’unico non di madrelingua francese nel cast): è un diavolo sardonico ed ironico. Tra i protagonisti delude un po’ Véronique Gens, che ricordo eccellere in tanti ruoli a Aix-en-Provence ed a Monaco: la parte richiede una Marguerite molto giovane, quasi adolescente e si avverte che lei non le più. Di livello più che buono il Valéntin di Jean-Sébastien Bon. Il Siebel di Juliette Mars, la Dame Marthe di Ingrid Perucche ed il Wagner di Anas Séguin.

In breve, un ‘edizione discografica ed un libro da ascoltare e da studiare.