In un articolo precedente avevo parlato del finale nelle serie televisive e del perché sia meno importante (e quindi spesso anche meno interessante) che negli altri tipi di narrazione. Oggi vorrei soffermarmi su uno dei pochi davvero memorabili: quello di Supernatural, una delle serie più amate e longeve di ogni tempo, che si è da poco conclusa.
Per chi non la conoscesse, Supernatural è la storia di due fratelli, Dean e Sam Winchester, ammazza-mostri professionisti per tradizione di famiglia, che vivono in un mondo che per la parte naturale è essenzialmente il nostro, mentre per quella soprannaturale è un variopinto e surreale “minestrone”, dove tutte le principali tradizioni mitologiche e religiose conosciute, più altre inventate di sana pianta, nonché il folklore popolare e le “leggende urbane”, vengono allegramente mescolate senza troppo preoccuparsi della coerenza, anche se la struttura generale è fondamentalmente ebraico-cristiana (assai più la prima che la seconda, in effetti, dato che manca qualsiasi riferimento al Vangelo).
Come viene detto nel documentario uscito all’inizio dell’ultima stagione, Supernatural è nato «dall’interesse per le leggende metropolitane» (The long road home, da cui sono tratte tutte le altre citazioni di questo articolo) del suo creatore Eric Kripke, che «ha preso questi due fratelli e li ha messi in un mondo dove potevano combattere i mostri, per raccontare un film horror ogni settimana», con uno stile che, tuttavia, più che horror è comico-demenziale.
Come definire altrimenti una storia in cui gli angeli sono degli stronzi, l’Inferno è uno scantinato governato da un demone di quarta categoria, il Paradiso è una specie di asettico albergo bianco in stile futurista afflitto da continui problemi burocratici, il figlio di Lucifero adora la pizza e gli hamburger di McDonald’s, l’arcangelo Gabriele si imbosca a Montecarlo in compagnia di alcune pornostar, Dio è uno scrittore nevrotico perennemente insoddisfatto del proprio lavoro e due fratelloni bellocci e muscolosi in camicia di flanella a quadri sventano apocalissi in serie a suon di sberle più qualche pizzico di magia?
Per le prime tre stagioni la trama è stata imperniata sul classico schema del “mostro della settimana”. Poi, visto il crescente successo, sono stati via via introdotti nuovi personaggi, a cominciare dagli angeli, e ha cominciato a delinearsi una trama di più ampio respiro. Da qui in avanti si sono perciò alternati episodi che sviluppano il tema principale e altri autoconclusivi, che non sono mai venuti meno, secondo uno schema reso canonico da X-Files oltre trent’anni fa e diventato ormai pressoché obbligato per qualsiasi serie di lunga durata.
Di pari passo, anche le minacce da sventare sono diventate sempre più apocalittiche, finché nelle ultime stagioni i Winchester hanno dovuto affrontare prima Lucifero in persona, poi l’ancor più potente nephilim Jack, figlio di Lucifero stesso e di una donna umana e perciò perennemente in bilico tra il bene e il male (anche se alla fine prevarrà il primo) e infine addirittura Dio stesso: qualcosa che non si era mai visto prima sullo schermo e che merita quindi un approfondimento, anche se non dobbiamo mai dimenticare che il primo scopo di Supernatural è divertire, per cui non si deve pretendere di vedere un significato profondo in ogni suo aspetto.
Solo per fare un esempio, è vero che quando i Winchester si imbattono per la prima volta negli angeli e si stupiscono che uccidano la gente questi gli rispondono: «Non avete letto la Bibbia? Gli angeli sono soldati di Dio». Tuttavia, il vero motivo di questa scelta è che si pensava che altrimenti per loro «sarebbe stato troppo facile», anche se poi almeno un angelo, Castiel, finirà per diventare loro amico, trasformandosi in un protagonista fisso della serie e addirittura in una sorta di «terzo fratello».
Allo stesso modo, il fatto che Dio abbia da tempo lasciato il Paradiso e nessuno sappia dove sia andato viene sì giustificato a posteriori (nell’undicesima stagione) con la sua volontà di lasciare libere le sue creature senza imporre loro la propria volontà, ma il motivo originario era che altrimenti i Winchester, scorrazzando continuamente tra la Terra e i vari Regni oltremondani, prima o poi avrebbero finito per incontrarlo, cosa che all’inizio agli autori doveva essere sembrata eccessiva.
Ciò premesso, resta il fatto che, quando questo timore è stato superato e Dio è diventato a tutti gli effetti un personaggio della serie, ciò ha finito col dire, non importa se intenzionalmente o meno, qualcosa di davvero significativo sul nostro rapporto con lui, nonostante il carattere scanzonato della narrazione e perfino i suoi aspetti contraddittori, che tuttavia non rappresentano un’obiezione (perché noi abbiamo un rapporto contraddittorio con Dio).
Dio compare per la prima volta nella quarta stagione di Supernatural e all’inizio non è affatto Dio, bensì Chuck Shurley, uno scrittore che nei suoi libri descrive le avventure dei Winchester esattamente come si verificano nella realtà (il che tra l’altro dà origine a vari spassosissimi episodi metafilmici, in cui cioè la serie viene rappresentata all’interno di sé stessa, di cui Supernatural detiene il record mondiale). Quando i due gli chiedono come faccia, Chuck risponde di essere un profeta e tale rimane (anche nelle intenzioni degli autori) per ben sette anni. Solo nell’undicesima stagione viene deciso di osare l’inosabile e nella ventesima puntata Chuck rivela finalmente di essere Dio in persona.
Si tratta, tuttavia, di un Dio molto particolare. Certamente i caratteri fondamentali sono quelli dello Jahvè ebraico, perché è creatore e onnipotente (almeno in teoria: in pratica, come subito vedremo, un po’ meno), ma assomiglia assai più al biblico Signore degli Eserciti che non al Padre compassionevole di Gesù Cristo, che nella serie infatti non esiste, così come non esiste lo Spirito Santo. Esiste invece la Chiesa cattolica, che però non ha nessun rapporto privilegiato con Dio ed è solo una fra le tante istituzioni religiose create dagli esseri umani.
In compenso, Chuck ha una sorella, Amara, che rappresenta il principio del caos e che per questo lui, che finalrappresenta invece il principio dell’ordine, ha imprigionato dopo aver creato il mondo, per evitare che lo destabilizzasse. In realtà, però, i due sono inseparabili, in un modo che ricorda molto lo Ying e lo Yang della tradizione taoista, tant’è vero che Amara finirà per liberarsi e il conflitto tra i due rischierà di scatenare un’apocalisse, che solo i Winchester (c’era bisogno di dirlo?) riusciranno a impedire, facendoli riconciliare e ristabilendo così l’armonia universale. Nell’ultima stagione i due finiranno addirittura per fondersi in un’unica entità (anche se ciò accade non per ragioni “teologiche”, ma per esigenze narrative, poiché sulla scena doveva rimanere il solo Chuck).
Ora, tutto ciò può sembrare piuttosto strampalato e demenziale, e in effetti lo è (per fortuna, perché è quello che rende la serie così godibile). Tuttavia, se anziché alla forma guardiamo alla sostanza, ci accorgiamo subito che in realtà la cosmovisione di Supernatural riflette fedelmente lo strano modo in cui quasi tutti oggi concepiscono il cristianesimo, compresi molti cristiani e perfino molti teologi.
Che Dio sia l’autore dell’ordine cosmico piuttosto che una presenza che c’entra con la vita, che il Paradiso sia un posto un po’ noioso e che l’Inferno non sia una cosa seria, che la Chiesa sia solo una creazione umana e che il cristianesimo sia una religione come le altre di cui ciascuno può costruirsi una personale versione “fai da te”, spesso con commistioni sincretistiche mutuate dalle filosofie orientali – tutte queste sono idee tanto sbagliate quanto oggi diffusissime. Quanto alla teoria, originariamente esposta nella kabbala ebraica (il termine tecnico è Tzimtzum), secondo cui Dio si sarebbe “ritirato dal mondo” per lasciarci liberi, è stata sostenuta da illustri teologi con le idee un po’ confuse, sia protestanti che cattolici (in Italia, per esempio, da Bruno Forte), mentre la tesi che negare l’onnipotenza divina sia l’unico modo di “spiegare” l’esistenza del male è un “classico” della teodicea di ogni tempo, ma specialmente del nostro.
Tuttavia, l’aspetto più interessante di Supernatural è quello che viene fuori nell’ultima stagione, quando i Winchester scoprono che le loro vite non sono state semplicemente raccontate, bensì “pilotate” in ogni dettaglio da Chuck. E per giunta questi non l’ha fatto per qualche fine superiore, ma semplicemente perché si annoiava e voleva divertirsi guardando una storia emozionante, che ora vuole coronare con un finale epico, in cui loro due finiscano per uccidersi a vicenda. I Winchester però si ribellano a quello che sembra un destino ineluttabile e, contro ogni logica, alla fine riescono a sconfiggere Chuck, liberandosi per sempre dalla sua influenza.
A prima vista tutto ciò sembrerebbe semplicemente riflettere il sospetto, tipico dell’uomo moderno, che la realtà in fondo non sia positiva e che la vita in fondo sia una fregatura, insieme all’altra idea, anch’essa tipicamente moderna, che il solo modo di essere liberi è rompere ogni legame. E almeno in parte indubbiamente è così. Ma il vero colpo di genio degli autori è che la storia non finisce qui, come sarebbe stato naturale aspettarsi: c’è ancora un’ultima puntata, il “vero” finale, che introduce una prospettiva completamente nuova, cambiando il senso di tutto ciò che si era visto prima. È di questo che parleremo la prossima volta.
(2- continua)
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