Tanto tuonò che non piovve. O almeno così sembra, perché questa di Alitalia si avvia ad essere una storia infinita. Anche il convulso sblocco della situazione di ieri, con la presentazione dell’offerta irrevocabile di Cai, non può considerarsi ancora una soluzione definitiva, in quanto sottoposta alla condizione risolutiva della possibile bocciatura da parte dell’UE del contributo statale di 300 milioni di euro a suo tempo erogato dal governo Prodi.



Alla notizia del ritiro dell’offerta di Cai conseguente alla mancata firma dei sindacati autonomi, credo che molti abbiano pensato che la cordata di imprenditori avesse preso la palla al balzo per ritirarsi da un’impresa divenuta, o forse mai stata, particolarmente entusiasmante. In Italia la stragrande maggioranza dei contratti è sempre stata firmata, in effetti, solo con le organizzazioni confederali e si è data normalmente scarsa importanza all’opinione degli altri sindacati. Certo, in questo caso gli autonomi rappresentano una buona parte dei piloti, “materia prima” molto importante per una compagnia aerea, quindi molti altri avranno pensato ad una manovra per piegare la resistenza degli autonomi, avendo ottenuto il consenso dei confederali.



Pur con questa complessità della situazione, diversi rappresentanti dell’opposizione si sono precipitati ad attaccare pesantemente il governo, e il premier particolarmente, con toni a volte sopra le righe e che comunque facevano trasparire una bizzarra soddisfazione per il fallimento delle trattative. Bizzarro anche che, forse per la prima volta nella storia, esponenti di sinistra si siano di fatto schierati con i sindacati autonomi contro i confederali.

Con una posta politica, oltre che economica, così elevata, si poteva essere sicuri del dispiegamento di una forte moral suasion da parte del governo, affidando silenziosamente ( “l’assordante silenzio” del governo denunciato dall’opposizione) il compito di portare la nave, meglio l’aereo, fuori dalle secche al più silenzioso degli uomini di governo, il sottosegretario Gianni Letta. Il quale può ben dire: missione compiuta, pur aggiungendo scaramanticamente, almeno per il momento.



Rimane la fastidiosa impressione di trovarsi ancor una volta di fronte l’abusata immagine del Titanic e della sua orchestrina, sempre attuale nel nostro paese, e di dover incrociare le dita e sperare nello “stellone d’Italia”, come si diceva una volta.

Con il suo corposo dossier, ilsussidiario.net ha ampiamente analizzato la situazione dell’Alitalia, i punti critici del cosiddetto salvataggio e del piano Fenice, ma qualunque sia il giudizio di merito si è ormai a un punto di non ritorno: o la virata della Cai, per quanto costosa, o l’iceberg del totale fallimento. Un fallimento che non sarebbe di Berlusconi, come sembra pensare l’opposizione, ma di tutto il paese.

L’operazione “nuova Alitalia” inizia i suoi passi in una situazione economica mondiale estremamente negativa e ha bisogno di tutto l’ottimismo della speranza, così da poter valorizzare anche il minimo, e magari contraddittorio, aspetto. Per esempio, trasformando in un positivo sintomo di presa di responsabilità del mondo imprenditoriale, il consistente numero di soci nella Cai ( per il momento 18, ma previsti in aumento), che rischia di porre rilevanti problemi di governance.

O di considerare un’opportunità il fatto che anche l’unico socio industriale, Air One, versi anch’esso in condizioni non proprio floride. O mostrare sicurezza sul fatto che la Cai riuscirà ad irrobustirsi sufficientemente, cosicché l’inevitabile socio straniero diventi solo un prezioso apporto industriale e di esperienza, e non il padrone del vapore. O che i soci italiani non industriali ci prendano tanto gusto da rimanere nella società stabilmente, e non per un mordi e fuggi che, in un settore come questo, non è evitato da un lock-up di cinque anni. E che, alla fine, tutto il mondo sindacale e politico si ritrovi unito per salvare quello che rimane comunque un nostro patrimonio.

Non è un elenco di sognanti desiderata, è ciò che dovrebbe accadere in un paese serio e che dovrebbe accadere non solo per Alitalia, ma anche per la scuola, tanto per fare un esempio.

Perché le soluzioni ci sono. È probabile, per una serie di ragioni già descritte nel nostro dossier, che la compagnia più consona per Alitalia sia Air France – Kml; ciò che era inaccettabile era la svendita che ne voleva fare il governo Prodi, dopo più di un anno di farsesche pseudo-gare. Non sarà possibile tornare indietro nel tempo, quando le due compagnie erano praticamente alla pari, e la fusione fu bloccata ancora una volta da politici e sindacati. Tuttavia, si potrà avviare una dignitosa collaborazione, senza svendite di alcun tipo, data l’importanza del mercato italiano per il trasporto aereo.

E si potrà anche risolvere il problema degli aeroporti milanesi, con altrettanto dignitosi, e anche proficui, accordi con Lufthansa, ma in un quadro nazionale, senza lasciare gli operatori lombardi a sbrigarsela da soli. Perché probabilmente ci riuscirebbero, ma si dovrebbe pagare il prezzo di un ulteriore strappo nel paese, ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

Su questa vicenda Berlusconi ha giocato la faccia e, anche se recentemente è sembrato un po’ distratto, si può essere sicuri che ce la metterà tutta per risolvere in modo inattaccabile la questione. È troppo sperare che anche gli altri, opposizione, sindacati, imprenditori, facciano positivamente la loro parte? Noi, semplici cittadini e contribuenti, saremmo molto riconoscenti.