I quaranta anni della Primavera di Praga hanno accentrato giustamente l’attenzione dei media, anzi, avrebbe anche potuto essere maggiore: quello di Praga, come è stato fatto notare per esempio da Finkielkraut, è stato il vero ’68, anche se i suoi protagonisti non sono saliti agli onori delle cattedre e delle scrivanie, come quelli occidentali, ma hanno subito la dura repressione seguita all’invasione sovietica dell’agosto di quell’anno. Uno di questi è Ludvik Vaculik, che proprio nel giugno 1968 pubblicò il suo “ Manifesto delle 2000 parole agli operai, i contadini, gli scienziati , gli artisti e a ognuno”, in cui, tra l’altro, indicava il rischio dell’invasione da parte delle truppe del Patto di Varsavia e invitava i suoi compatrioti a difendere il paese “ anche con le armi, se necessario”. Il “Manifesto” fu probabilmente una delle cause che spinse Breznev a intervenire per reprimere quella che definiva “controrivoluzione”. Vaculik, con Václav Havel e altri, tra cui molti cattolici come Josef Zverina, fonderà poi il movimento dei dissidenti Charta 77. 

Vi sono però anche altri fatti importanti accaduti in giugno e riguardanti i paesi del blocco sovietico. Il primo riguarda la Polonia del 1956, passato in secondo ordine di fronte alla maggiore tragedia della rivolta ungherese. Eppure, il movimento di tentato rinnovamento cominciò proprio dalla Polonia, per poi espandersi all’Ungheria, anche se poi la prima riuscì per via politica ad evitare l’invasione. All’inizio di giugno del 1956, il cosiddetto Discorso Segreto o Rapporto Khrusciov veniva pubblicato sul New York Times, giunto negli Usa pare proprio attraverso la Polonia. In questo famoso discorso, fatto dal leader sovietico in una riunione del XX Congresso del Partito Comunista dell’URSS, si denunciavano molti errori commessi da Stalin e vari aspetti del suo regime, tra gli altri il culto della personalità che aveva finora segnato il regime sovietico. Questo rapporto fu preso, anche in Occidente, come un segno di iniziale liberalizzazione nell’Unione Sovietica e nei paesi satelliti, mentre fu condannato da Mao e dall’albanese Hoxha.

A questa speranza di cambiamento vengono attribuiti i movimenti che seguirono appunto in Polonia e in Ungheria. Come detto, mentre per l’Ungheria Khrusciov decise di usare l’arma militare, in Polonia la soluzione fu politica, con l’arrivo al governo di Gomulka. Tuttavia, nel giugno del ’56, a Poznan scoppiò una rivolta operaia che venne soffocata nel sangue, con una settantina di morti. Disordini meno gravi si verificarono anche in altre città polacche.
Ma vi è un altro evento significativo, che sembra completamente dimenticato dall’occidente: la rivolta operaia di Berlino Est nel giugno 1953, qualche mese dopo la morte di Stalin. La causa iniziale dei disordini, che coinvolsero tutto il paese, furono le pesanti condizioni di vita imposte dal regime. Per questa ragione alle manifestazioni parteciparono soprattutto gli operai, mentre gli intellettuali rimasero sostanzialmente freddi.

Il 16 giugno le manifestazioni assunsero un carattere più politico, con la richiesta di dimissioni del governo e l’indizione di libere elezioni; a Berlino Est vennero occupati edifici pubblici. Il 17 giugno, la rivolta veniva stroncata dai carri armati sovietici, con diverse decine di morti. Il maggiore intellettuale tedesco orientale, Bertolt Brecht criticò fortemente in una lettera l’operato del governo, ma difendendo alla fine il partito comunista e confermando la sua lealtà allo Stato comunista.
Inutile dire che gli intellettuali comunisti italiani e l’Unità, organo ufficiale del PCI, si schierarono totalmente dalla parte del governo comunista, etichettando i manifestanti come “fascisti” al soldo degli Stati Uniti e della Germania dell’Ovest. Uguale atteggiamento venne tenuto nei confronti dei fatti di Poznan e della insurrezione ungherese; in quest’ultimo caso, si è sostenuto che Togliatti sia stato tra coloro che richiesero l’intervento militare per evitare la destabilizzazione del blocco sovietico e che abbia sostenuto la condanna a morte del Primo Ministro ungherese Imre Nagy e del ministro della Difesa Pál Maléter.  
Il 17 giugno è rimasto festa nazionale per la Germania di Bonn, fino alla riunificazione con la Germania Orientale nel 1990.