Finalmente le operazioni militari nel Caucaso sono state fermate e, come dice Alberto Leoni nel suo pregevole intervento, «c’è da sperare che cessino del tutto», anche se «un allargamento del conflitto è possibile quanto prevedibile». Per quanto può valere il parere di un osservatore comune, temo che Leoni abbia ragione e che sia pericoloso abbandonarsi ai compiacimenti che sembrano imperversare nelle Cancellerie occidentali, compresa la nostra.
La maggior parte dei commentatori ha giustamente bollato l’iniziativa georgiana come avventata e azzardata, ma mi chiedo se tutto può essere ridotto al carattere “impetuoso” del presidente georgiano. Possibile che Saakashvili, “l’americano”, abbia agito senza informare l’alleato di Washington?
L’imbarazzo delle prime reazioni del governo americano sembrerebbe confermare questa ipotesi e la criticata permanenza di Bush a Pechino potrebbe essere dovuta alla volontà di non sottolineare la portata del conflitto. Oppure, dalla Casa Bianca, o da altri ambienti autorevoli, sono arrivati segnali incoraggianti verso l’attacco alla Ossezia del Sud? In tal caso, si sarebbe ripetuto quanto successo nel 1956, quando le trasmissioni di Europa Libera spinsero gli insorti ungheresi a credere in un intervento occidentale, che non ci fu.
La risposta russa è stata definita eccessiva e sproporzionata, ma anche qui sorgono domande, perché si sottintende che i russi avessero il diritto a intervenire, ma in modo più “moderato”. Mi piacerebbe sapere in che avrebbe dovuto consistere questa moderazione, ma soprattutto quali sarebbero le giustificazioni all’intervento russo.
In nome dell’integrità del territorio georgiano, l’indipendenza di Ossezia del Sud e di Abkhasia non è stata riconosciuta da nessuno Stato, né organizzazione internazionale, quindi l’attacco ai separatisti osseti si configurerebbe come un fatto interno georgiano. Tuttavia, nelle due repubbliche sono stanziate truppe russe con funzioni di peacekeeping, che a me suona come Hamas forza di interposizione tra Israele ed Hezbollah.
La Russia controlla di fatto le due regioni, i cui abitanti sono in maggioranza russofoni e, moltissimi, cittadini russi: sotto il profilo del diritto di autodeterminazione, dopo guerre di indipendenza e referendum, questa composizione etnica giustificherebbe il separatismo, essendo lì i georgiani comunque una minoranza.
Infatti, Putin si rifà al caso del Kosovo per sostenere l’indipendenza delle due repubbliche ribelli, ovviamente tacendo su quanto avviene in Cecenia, come giustamente ricordato nell’intervento di Memorial, Cecenia che sembra anche essere dimenticata dalle Cancellerie occidentali.
Ha ancora ragione Leoni a parlare di coscienza sporca degli europei e risulta insopportabilmente grottesca l’autoincensazione in corso per la fine dei combattimenti: il “duro” Sarkozy non ha ottenuto se non ciò che i russi avevano già deciso di concedere e parlare di ripresa di autorevolezza della UE è un sogno da cui, spero, non ci si debba risvegliare troppo dolorosamente.
Non è di certo un caso se i paesi europei che hanno sofferto per decenni l’oppressione sovietica sono a fianco dei georgiani, temendo di subire prima o poi simili rivendicazioni russe. I rappresentanti del nostro governo fanno bene ad essere prudenti nelle loro dichiarazioni, ma le minacce all’Ucraina e ai Paesi Baltici da parte della Russia sono esplicite, e non da ora. Far finta di niente serve solo a incancrenire il problema.
Passata la falsa euforia del momento, il nostro governo e gli altri europei della «vincente linea italo-francese», per dirla con il ministro Frattini, dovranno vedersela non solo con la soluzione, tuttora ardua, del problema caucasico, ma anche con questo scenario tutt’altro che tranquillizzante.
Personalmente, non sono sicuro che basterà qualche telefonata e un po’ di turismo diplomatico.