Un anno fa scoppiava negli Stati Uniti la crisi dei mutui cosiddetti sub prime, inizio di una crisi finanziaria a livello globale che sta colpendo anche l’economia reale. Molti saranno i tentativi di stilare un bilancio dell’anno passato e, soprattutto, di prevedere cosa succederà nel prossimo futuro; sembra, però, che nessuno possa avere certezze e che si continui ancora a navigare a vista, come dimostra l’andamento oscillante, e a volte schizofrenico, delle Borse. Si può, tuttavia, almeno tentare di trarre qualche considerazione, sia pure a livello personale.
Mutui sub prime e mercati finanziari
Le cause immediate della crisi negli Stati Uniti sono ormai accertate: banche e istituzioni finanziarie, alla ricerca di impieghi della loro liquidità, hanno concesso consistenti mutui, definiti appunto sub prime, senza garanzie sufficienti o affidabili. Non solo, hanno anche eliminato i margini di sicurezza, concedendo prestiti per più del 100% del valore della casa oggetto del mutuo, fornendo così di fatto credito al consumo (si comincia a ipotizzare un possibile nuovo buco relativo alle carte di credito).
A un certo punto la bolla immobiliare è esplosa e i prezzi delle case sono crollati, rendendo sempre più difficile il rientro dai mutui e innescando una spirale negativa, che ha finito per coinvolgere i bilanci di diverse banche ed enti finanziari, non ultimi i semi pubblici istituti di credito fondiario Freddie Mac e Fannie Mae. Il governo americano è stato costretto a intervenire per evitare ulteriori collassi, rafforzando la sensazione che si possono comunque assumere rischi azzardati, perché poi interviene il governo: quello che gli anglosassoni chiamano moral hazard e noi, più prosaicamente, “tanto paga Pantalone”.
All’inizio della crisi, alcuni commentatori avevano fatto notare che anche quello immobiliare, come tutti i mercati, è soggetto a cicli, che le perdite subite da privati e banche erano il risultato di investimenti rischiosi e che sarebbe stata una lezione salutare. L’estendersi della crisi finanziaria, con la tempesta dei derivati e simili, ha reso questa posizione non più praticabile, portando come detto a interventi statali, particolarmente sorprendenti per un governo repubblicano.
La tentazione è quella di introdurre nuove leggi restrittive, ma sarebbe molto meglio assicurare un controllo efficiente a priori (da molte parti si erano segnalati i rischi della situazione, senza che le autorità preposte intervenissero) e sanzioni reali e mirate a posteriori. Il problema di fondo rimane, non solo per gli Stati Uniti, la creazione di una cultura diversa, più responsabile, meno interessata ai risultati immediati e più lungimirante: per questo serve un’opera di educazione che richiede tempo e che è urgente iniziare.
Mutui sub prime e mercato immobiliare
La crisi immobiliare si sta estendendo dagli Stati Uniti ad alcuni paesi europei. L’Italia è in larga parte al riparo dalla tempesta dei sub prime, data la prudenza in tal campo delle nostre banche, ma il rialzo generalizzato degli interessi sta mettendo in difficoltà sempre più famiglie, anche per il continuo peggioramento della situazione economica.
Anche il nostro governo è intervenuto con alcune misure, quali l’accordo interbancario sui mutui a tasso fisso e il ventilato piano di edilizia popolare. Il mercato immobiliare italiano è particolare, con un’elevatissima percentuale di proprietari di abitazione e con affitti proibitivi, particolarmente per giovani coppie e anziani. Vi è, inoltre, un vasto mercato di seconde case nei luoghi di villeggiatura e, negli ultimi anni caratterizzati da bassi interessi, si è molto sviluppato l’investimento in immobili come impiego sicuro e di sicura rivalutazione nel tempo.
Anche se forse non si può parlare di bolla immobiliare, anche il mercato italiano e i suoi prezzi si sono sviluppati in modo abnorme, per cui è fisiologica una battuta d’arresto o un limitato calo. Molti si trovano ora con un capitale immobilizzato, che comporta costi finanziari, fiscali e di manutenzione. Né è facile affittare, se non rinunciando al tasso di rendimento che l’investimento iniziale richiederebbe, e in presenza di una legislazione e di decisioni della magistratura in tema di sfratti finora non facilitanti.
La proprietà della casa in cui si abita è un concetto radicato profondamente nella nostra cultura, a differenza di quella anglosassone e in particolare americana più aperte alla mobilità. Tuttavia, è forse il caso di ripensare tutta la filosofia in proposito, mantenendo il positivo della proprietà della prima casa, ma creando al contempo le condizioni per un ampio e flessibile mercato delle abitazioni in affitto, che tenga conto delle diverse situazioni logistiche, tra grandi città e piccoli centri, tra zone di immigrazione e di emigrazione. Il problema non sembra limitato, peraltro, alle abitazioni private, vista la “sindrome da capannone” che sembra aver colpito tante imprese e zone d’Italia.
È quindi necessaria una politica edilizia a lungo termine, che consideri gli aspetti ambientali, il problema delle infrastrutture, lo sviluppo quantitativo della popolazione, ivi compresi i flussi migratori, e la composizione della stessa, dato l’aumento di famiglie meno numerose e di anziani. Si va ben oltre i problemi strettamente finanziari e, anche per noi, si tratta di avviare una profonda riflessione culturale e una concreta opera di educazione.
I pericoli futuri
La crisi dei mutui sub prime è stata solo la miccia per un incendio che si è esteso ben al di là, con la scoperta di enormi quantità di derivati e di prodotti “salsiccia” (cioè a composizione non accertabile) nei bilanci, e spesso fuori bilancio, di banche e istituzioni finanziarie. Questa ulteriore crisi rende più difficile la soluzione di quella immobiliare e corrono voci che negli Stati Uniti comincino a verificarsi tensioni anche sui mutui prime, quelli ritenuti affidabili.
L’aspetto più pericoloso è l’impossibilità di valutare la quantità in circolazione di questi fantasiosi prodotti finanziari e, di conseguenza, l’entità delle perdite che possono causare. Questa situazione di incertezza sta avendo conseguenze estremamente negative sulla concessione del credito e, unita all’aumento dei prezzi delle materie prime, dell’inflazione e dei tassi di interesse, sulle condizioni economiche di vari settori dell’economia reale.
In Europa, a differenza degli Stati Uniti, manovre espansive dei governi sono pressoché impossibili per i vincoli di Maastricht, tanto più in un caso come quello dell’Italia gravata da un enorme debito pubblico.
Il nostro sistema finanziario sembrerebbe (il condizionale in questa materia è d’obbligo) al riparo da forti danni per derivati e simili, ma il problema parrebbe presentarsi, paradossalmente, per le amministrazioni pubbliche locali. Queste si sono apparentemente affidate a strumenti derivati per superare ristrettezze di bilancio, ma con notevole superficialità, a giudicare almeno dai casi alla ribalta di Roma e Milano. Data la pericolosità di questi strumenti, sarebbe bene che si accertasse al più presto la situazione reale.