Al recente Meeting di Rimini, la mostra “Monumenti Cristiani nella Cipro occupata dai Turchi. Aspetti e opere di una continua distruzione”, ha portato in evidenza, e drammaticamente documentato, il tentativo di cancellare ogni testimonianza cristiana nella parte turca di Cipro, con un’opera organizzata di “turchizzazione” e islamizzazione. Accanto alla distruzione di chiese e monasteri, si è per trent’anni proceduto a una estesa opera di trafugamento di opere d’arte e icone, rivendute poi per tutta Europa. Questo scempio è avvenuto alla presenza delle forze di occupazione dell’esercito regolare turco (si stima 40000 militari), quindi con il benestare, almeno tacito, del governo turco. 

Cipro, diventata indipendente nel 1960, ha visto fin dall’inizio scontri tra la maggioranza greca, propensaalla unione con la madrepatria greca, e la minoranza turca, favorevole ad una separazione dell’isola in due parti, separazione che avvenne nel 1974. Per reazione ad un tentativo di colpo di Stato dei greco-ciprioti, l’esercito turco invase la parte nord dell’isola costituendo la Repubblica Turca di Cipro Nord, riconosciuta dalla sola Turchia.

Nel 2004, la Repubblica di Cipro, cioè la parte greca riconosciuta internazionalmente, è entrata nell’Unione Europea. Nei giorni scorsi, presso il rappresentante speciale dell’Onu nell’isola, si è tenuto un incontro tra i leader delle due parti, che potrebbe riaprire i negoziati interrotti da quattro anni, quando la proposta del segretario dell’Onu Kofi Annan di riunificazione nella forma di federazione, sottoposta a referendum, fu accettata dai turco-ciprioti, ma rifiutata dai greco-ciprioti. I punti più critici in discussione sono l’equilibrio dei poteri tra le due etnie, i risarcimenti ai circa 240000 greci fuggiti dalla parte nord e la richiesta greca di rimpatriare i turchi immigrati dopo il 1974.

La questione cipriota è uno dei punti cruciali per l’ammissione della Turchia nell’UE, insieme alla democrazia interna e al rispetto delle minoranze etniche e religiose, cristiani e curdi in primo luogo. Il comportamento a Cipro non depone molto in favore della Turchia, anche perché dimostra una unione di intenti tra due forze di solito contrapposte, l’esercito e gli islamici, pur con motivazioni diverse, nazionaliste per i primi, religioso/culturali per i secondi. Sono perciò negativamente colpito dalla sostanziale inattività dell’Unione Europea, da cui ci si poteva aspettare un intervento ben più deciso e tempestivo. Né depongono a favore le incursioni anticurde in Iraq, tollerate peraltro da americani ed europei, le uccisioni di preti cattolici e di oppositori, lo strisciante islamismo, moderato quanto si vuole ma pur sempre lontano da standard europei.

Che la Turchia faccia parte dell’Europa è questione molto discussa: se geograficamente è in piccola parte in Europa, religiosamente, culturalmente e politicamente ne è stata per secoli un’antagonista radicale. D’altra parte, fu proprio il fondatore del nuovo moderno Stato laico, Kemal Atatürk  (“padre dei turchi”), a spostarne la capitale dall’europea Costantinopoli alla più antica, ma asiatica, Ankara.

La Turchia oggi è un paese diviso tra l’originaria impostazione nazionalista e laicista, rappresentata e difesa dalla gerarchia militare e dagli ambienti occidentalizzati, e una crescente influenza dell’islamismo tra le masse popolari di cui è espressione il partito islamico, per il momento su posizione moderate, attualmente al governo e alla presidenza della repubblica. Un paese che da un lato guarda all’Europa, ma dall’altro è sensibile alle prospettive di diventare una potenza regionale, magari in un’ottica pan-turca verso le repubbliche ex sovietiche ricche di petrolio.

Se sono perciò comprensibili i timori di chi vede come minaccia 70 milioni di turchi musulmani, che farebbero della Turchia il secondo Stato dell’Unione per popolazione, avendo il primo, la Germania, già al suo interno due milioni e mezzo di turchi, non si può neppure dar torto a chi invoca ragioni geopolitiche per accettare la Turchia nell’UE. Infatti, una sua destabilizzazione, una deriva verso posizioni fondamentaliste o, comunque, un allontanamento dall’Occidente avrebbero gravissime ripercussioni politiche ed economiche. Tuttavia, ritengo un errore far entrare la Turchia in Europa e ragionevole invece prospettare accordi privilegiati di partenariato, come sostenuto da Angela Merkel e Nicholas Sarkozy. È comunque molto pericoloso continuare a traccheggiare, come mi sembra stia facendo la UE, con il rischio che prenda il sopravvento un fronte antieuropeo, nazionalista o islamico che sia.

In realtà, accanto al problema turco esiste un grave problema europeo di identità, il problema di un’Europa che non sa più quali sono le sue origini e perché sta insieme, che rischia di avere come unico legante leggi e regolamenti promulgati e applicati da una tecnocrazia burocratica autoreferenziale (e da ciò non è immune lo stesso parlamento europeo) e che trova in un acritico allargamento una specie di autogiustificazione alla propria esistenza. Un’Europa, insomma, che ha paura di confrontarsi con i propri cittadini e che, le rare volte che lo fa, da essi viene sconfessata.