Barack Obama ce l’ha fatta! Dopo la Camera dei Rappresentanti a novembre, anche il Senato ha approvato a Natale un proprio disegno di legge sulla riforma sanitaria. Al di là dei trionfalismi e, dall’altro lato, delle difficoltà che ancora permangono prima di arrivare a una legge definitiva, rimane il fatto che Obama sembra essere riuscito dove altri cinque presidenti avevano precedentemente fallito.

Senza togliere nulla a Obama, una gran parte del merito va al pragmatismo e alle doti compromissorie della leadership del Partito Democratico nei due rami del Congresso e al fatto che la crisi economica, se sotto il profilo della teoria di bilancio aumentava le opposizioni a un aggravamento del deficit, ha però resa chiara a un numero sempre più crescente di americani l’inadeguatezza dell’attuale sistema.

Infatti, non si tratta più solamente di assicurare una copertura a chi ne è sprovvisto, ma di evitare che sempre più americani pur provvisti di copertura sanitaria, soprattutto appartenenti alla classe media, si trovino non più in grado di pagare i premi assicurativi, o si riducano sul lastrico per affrontare le spese sanitarie.

Il passaggio del disegno di legge al Senato era ormai scontato, dopo che lunedì scorso era stata approvata la proposta di terminare il dibattito e passare alla approvazione finale, impedendo così tattiche ostruzionistiche, il cosiddetto filibustering, da parte della minoranza. La proposta era passata con 60 voti a 40, tutti i Democratici più due indipendenti avevano votato a favore, tutti i Repubblicani contro.

Era questo il passaggio più pericoloso, perché sarebbe bastato un “disubbidiente” per mettere tutto in discussione, e per ottenere questo risultato si sono dovuti raggiungere ulteriori compromessi, scontentando una parte dei Democratici. La legge è poi stata approvata a larga maggioranza, ancora 60 voti contro i 51 richiesti.

Tuttavia, prima di arrivare a una legge definitiva da sottoporre a un nuovo voto del Congresso e poi al presidente Obama, occorre riconciliare i testi approvati dai due rami, derivanti da diversi rapporti di forza e quindi con diversi compromessi. All’elaborazione rapida di un testo comune si sono impegnati sia il leader della maggioranza al Senato, Harry Reid, sia la speaker della Camera, Nancy Pelosi, che ha dichiarato: “Elaboreremo presto un testo finale fondato sui principi basilari della riforma dell’assicurazione sanitaria: accessibilità per le classi medie, sicurezza per gli anziani, responsabilità verso i nostri figli riducendo il deficit e trasparenza per l’industria delle assicurazioni”.

Molti commentatori pensano che la riconciliazione dei due disegni, ciascuno di circa 2000 pagine, non potrà avvenire prima di un paio di mesi, date le non marginali differenze a cominciare dall’estensione della copertura, prevista in un decennio a 36 milioni di americani dal testo della Camera rispetto ai 31 milioni del Senato.

In linea generale, la Camera si è dimostrata più generosa, ad esempio prevedendo sussidi stimati a 574 miliardi di dollari contro i 336 del Senato, sempre nel decennio. Anche l’estensione di Medicaid, la copertura pubblica per gli indigenti, è più ampia nella proposta della Camera. Diversa è anche la fonte di finanziamento della riforma: il testo della Camera prevede una sopratassa per i redditi più alti che non appare in quello del Senato, in cui si parla di una tassa sulle polizze con premi elevati.

 

Entrambi i testi, poi, prevedono centinaia di miliardi di tagli nei pagamenti a dottori, ospedali e simili che si occupano di pazienti nello schema Medicare, quello per gli anziani, particolarmente alle compagnie di assicurazione private.

 

Inevitabilmente, i settori interessati sono entrati in agitazione, anche se non sembrano interessati ad affossare la legge, ma a renderla meno restrittiva o dannosa per il loro affari. Il costo complessivo della riforma e il peso maggiore assunto dallo Stato preoccupa molti; in effetti, una delle differenze tra i due progetti è che al Senato è previsto l’intervento di società di assicurazione non profit sotto il controllo dell’autorità pubblica, mentre alla Camera viene dato peso esclusivo ai piani pubblici.

 

Un’altra critica viene dalla prestigiosa clinica Mayo, che ritiene negativa una riduzione dei costi senza tener conto della qualità degli interventi, mentre un altro punto non risolto, ritenuto fonte di elevati costi, è quello della negligenza e degli errori dei medici, con conseguenti onerose cause legali.

 

La copertura o meno dell’aborto con fondi federali rimane uno dei punti ostici. Il testo della Camera esclude decisamente che gli aborti possano essere coperti da fondi federali (Emendamento Stupak-Pitts), mentre in quello del Senato sono previsti dei limiti, ma non così stretti. Su questo punto, la Conferenza Episcopale americana si è già espressa criticamente.

 

Attorno a questo problema si svolgerà in particolare il confronto/scontro tra Democratici progressisti e quelli conservatori, ma per quanto difficile un accordo dovrà essere raggiunto. Altrimenti si rimetterà in gioco l’opposizione Repubblicana che sostiene, sulla base di vari sondaggi, che questa riforma viene rifiutata dalla maggioranza degli americani.