Occorre dar atto a Feltri di un atto di onestà e, perfino, di qualche coraggio. L’8 settembre (certe date sono fatidiche, si parva licet) avevo scritto su questo quotidiano un articolo sulla vicenda Boffo/Feltri intitolato: “BOFFO/ Feltri, ora scrivilo in “prima”: hai preso una solenne cantonata”. Nell’articolo sostenevo che Feltri aveva già iniziato una retromarcia sulle accuse a Boffo, centellinata in vari articoli, suoi e di altri collaboratori del Giornale, ma che questo non era sufficiente, perché nella memoria dei lettori resta inevitabilmente ciò che è stato “sparato” nei titoloni in prima pagina, non le correzioni “a mezza bocca”.
Bene, venerdì scorso Feltri ha pubblicato la sua rettifica con l’artifizio, sottilmente elegante devo dire, della risposta ad una lettera di una lettrice, ma con lancio in taglio basso in prima pagina. Sia pure dopo tre mesi ha risposto all’invito, certo non ammettendo la cantonata, ma aderendo alla verità dei fatti, sia pure ancora con qualche ritrosia. L’Avvenire, dalla cui direzione Dino Boffo si è dimesso in seguito all’attacco di Feltri, e di altri cui non è parso vero seguirlo, ha risposto con un titolo a tutta prima pagina, cosa inusuale per la testata: “ Feltri ora si corregge su Boffo”. Nel suo editoriale, il direttore succeduto a Boffo, Marco Tarquinio riconosce a Feltri di aver avuto “ fegato” nel pubblicare quella che è difficile non definire una retromarcia, ma sottolinea che “ un problema enorme resta aperto” e cioè che “il più lancinante dei problemi che attanagliano il mondo dell’informazione non è quello della libertà, ma quello della responsabilità.” E questo soprattutto nei confronti di chi, a differenza di Boffo, “ non è conosciuto da tanti per ciò che davvero è, chi non è in condizione di ottenere (o anche solo aspirare a ottenere) riparazione nel sommario ‘tribunale’ dei mass media.”
Feltri riconosce che il documento su cui aveva basato le accuse contro Boffo, compresa quella di aver un rapporto omosessuale con il marito della signora che poi aveva, secondo Feltri, molestato per telefono, da cui la condanna, era falso. Sarebbe interessante sapere chi è “ l’informatore attendibile, direi insospettabile” che gli aveva passato questo documento, ma Feltri non ha ancora spiegato perché non lo abbia mai pubblicato, a differenza di Avvenire che lo fece immediatamente, dimostrando che si trattava di un documento anonimo che Boffo definì “patacca”. Feltri continuò imperterrito ad accusare Boffo, cui ora riconosce “un atteggiamento sobrio e dignitoso che non può che suscitare ammirazione.”
Tuttavia, Feltri continua a giustificare il suo attacco a Boffo, di cui dichiara non avrebbe voluto occuparsi in quanto “giornalista prestigioso e apprezzato”, ma si era in un periodo il cui il gossip veniva “usato come arma contro il premier” e “ persino l’Avvenire, di solito pacato e riflessivo cedette alla tentazione di lanciare un paio di petardi.” Da lettore di Avvenire, non ho alcun ricordo di questi petardi, ma qui mi interessa sottolineare come il povero Feltri sia stato tirato per i capelli: se gossip aveva da essere , che gossip fosse, e dove prendo, prendo. Ed è indubbio che il direttore del quotidiano della Cei fosse un bel prendere. Poco importa se dopo tre mesi sono costretto ad ammettere di avere preso invece una cantonata, intanto le vendite le ho aumentate e posso sempre dare la colpa agli altri: “Poteva finire qui. Invece ….i giornali e le televisioni si scatenarono sollevando un polverone ingiustificato.” Cosa che non era nelle intenzioni di Feltri che, poverino, dedicò alla questione solo nove titoli a tutte colonne, come gli ricorda Tarquinio.
Credo che il tutto si commenti da sé, ma vorrei terminare con un piccolo fatto che ritengo divertente. Per un errore, che può capitare nella frenetica impaginazione di un quotidiano, il rimando dal lancio in prima è per la pagina 40 (invece della reale 56). Il divertente è che la pagina 40 è tutta occupata dalla pubblicità di …un venditore di tappeti! Quando il diavolo ci mette la coda…