L’interessante articolo di Ugo Arrigo pone sul tavolo molti spunti di discussione per un opportuno dibattito fra esperti. Qui vorrei solo sottolineare, da “non addetto ai lavori”, un paio di aspetti per me di particolare interesse.
Stato e mercato
È una contrapposizione da cui uscire al più presto. Arrigo descrive bene cos’è il mercato, ma soprattutto evidenzia ciò che spesso sembra essere dimenticato sia da chi lo esalta che da chi lo condanna: il mercato non è un concetto astratto, ma è fatto dagli operatori. Le persone, e le istituzioni in cui le persone lavorano, sono gli attori del mercato, i responsabili di quanto e come e le regole, spontanee o derivanti da leggi e regolamenti, vengano applicate.
Lo stesso vale per lo Stato che, se non considerato per le persone che vi operano, rimane un’astrazione ideologica. E infatti viene identificato con la classe politica al potere pro tempore e con la relativa ideologia. Senza dimenticare il potere enorme assunto nel tempo da apparati e burocrazia.
Se si parte quindi dalla realtà, perciò dalle persone, si può vedere come Stato e mercato siano parte di un sistema integrato, inevitabilmente alla continua ricerca di un equilibrio, per sua natura istabile. Come lo è la società che sottende sia il mercato che lo Stato.
Questa integrazione a sistema è resa difficile dalla concezione di Stato che impera in Europa, calata dall’alto e dove lo Stato è un’entità a sé, divisa e spesso contrapposta non solo al mercato, ma alla stessa società. Altrimenti, perché sarebbe tanto di moda la ridondante espressione “società civile”: si vuole distinguerla da una società militare o, appunto, da uno Stato sentito “altro” rispetto alla società?
Se è la persona che ritorna centrale, non si può prescindere dalle sue caratteristiche essenziali. La prima è la sua integrità. Per motivi di laboratorio si può anche ipotizzare l’esistenza di un homo oeconomicus, un homo politicus, e via dicendo, ma nella realtà la persona rimane una e unica. La seconda è il concetto di responsabilità, altrettanto insito nella persona, tant’è che un irresponsabile viene giuridicamente interdetto. Quindi la responsabilità è legata all’altra caratteristica imprescindibile della persona: la libertà.
Prima che una questione morale, è quindi una questione oggettiva, reale la mancanza di assunzione di responsabilità da parte degli artefici della attuale situazione, sia sul versante aziende/istituzioni, sia politici/controllori. La normale contrapposizione mercato/Stato sembrerebbe qui risolversi in un sistema sì, ma di connivenza.
«Il mercato fin quando è possibile e il governo quando è necessario»
Questa frase di Tremonti, se letta alla luce di quanto detto finora, credo sia meno pericolosa di quanto ritenga Arrigo. Senza dubbio lo Stato non deve riproporsi come pianificatore centralizzato e sono condivisibili le sei aree di intervento suggerite da Arrigo all’interno di un ruolo dello Stato come legislatore, controllore e promotore della libertà personale e del mercato.
Tuttavia, credo che lo Stato, o meglio la classe politica nel suo complesso, e quella al governo in particolare, abbiano anche il dovere di promuovere il raggiungimento del bene comune, o interesse generale se così lo vogliamo chiamare. Questo comporta un rischioso, ma necessario, controllo non solo della applicazione delle regole, ma delle finalità ultime. Per fare un esempio estremo, molte attività della mafia rispettano formalmente le regole, ma questo deve bastare allo Stato, o non si devono prendere in considerazione le finalità eversive della mafia e delle altre organizzazioni similari? Con ciò facendo rientrare anche la necessità di un sistema di valori condivisi, senza il quale il bene comune diventa solo un compromesso temporaneo, come insegna, a livello politico, il compromesso storico.
D’accordo anche sul fatto che lo Stato non dia il meglio di sé come diretto soggetto economico, ma con due osservazioni. La prima è che molto dipende dalle persone coinvolte, ancora una volta dagli operatori. Se riandiamo all’esperienza delle partecipazioni statali, vediamo senz’altro grandi sprechi e inefficienze addossate alla collettività e dovute al diretto intervento di partiti e politici nella gestione delle imprese. Tuttavia, anche in questa situazione, vi sono stati casi positivi di cui ancora godiamo i benefici, come Finmeccanica, Enel, Eni, per esempio.
La seconda osservazione è che vi sono delle aree di intervento che non possono essere lasciate alla sola iniziativa di mercato. Ciò riguarda non solo i servizi da portare a zone o a persone non profittevoli sotto l’esclusivo calcolo economico, ma anche tutta la questione dei monopoli naturali, delle reti, dei settori strategici per l’economia nazionale.
Anche qui l’antinomia Stato/mercato, pubblico/privato può risultare disastrosa, ma è innegabile che sia richiesto un ruolo più attivo da parte del governo o del legislatore, pur rifuggendo dall’intervento diretto degli organismi statali. Questa è un’area in cui l’applicazione del principio di sussidiarietà potrebbe dare almeno alcune soluzioni, se un maggior numero di politici cominciasse a considerarlo realmente uno strumento operativo, e non solo un bello slogan da sbandierare.