Nouriel Roubini, che ha studiato al Liceo Ebraico di Milano e alla Bocconi prima di diventare professore alla New York University, è passato alle cronache con il soprannome di “Mr. Doom”, “Signor Catastrofe”, nomignolo dovuto alle sue rovinose previsioni di una imminente crisi economica, fatte quando dominava un diffuso ottimismo su un boom economico senza fine. La crisi è arrivata e le autorità monetarie e i governi hanno dovuto via via aumentare le stime del buco finanziario, fino alla cifra stimata da Roubini, stigmatizzato allora come menagramo.

Genialità o fortuna? Credo solo capacità di guardare senza paraocchi alla realtà e coraggio di comunicare i risultati di questa analisi, senza curarsi delle critiche degli “esperti”. Su ilsussidiario.net, Mauro Bottarelli sembra essersi assunto la stessa missione, non credo proprio per gusto catastrofista, ma perché non tutti riescono a chiudere gli occhi davanti ai fatti. Non chiudere gli occhi e non voltarsi dall’altra parte, in economia come in tutti gli aspetti della vita, è il modo migliore per evitare o limitare le catastrofi. Vediamo alcuni di questi fatti.

Cicli economici e bolle, ovvero il Ballo Excelsior. Sorprende notare come la maggior parte di economisti e governanti abbia fatto finta di dimenticare che i cicli sono connaturati all’economia e che non possono essere evitati, ma devono essere governati, come lo sono le bolle, comprese quelle immobiliari di cui sono costellati gli ultimi decenni. Invece, i dibattiti economici sono stati condotti in un’atmosfera da Ballo Excelsior, nonostante l’ultima bolla, quella della New Economy, risalisse a nemmeno dieci anni fa. Il paradosso è che quelli che si sono fatti cogliere di sorpresa da una crisi annunciata, ora dovrebbero esserne i risolutori. Non sembra irragionevole nutrire un certo scetticismo.

Leve finanziarie, ovvero le tre scimmiette. Anche all’epoca della bolla Internet la spinta venne dalla mitizzazione delle nuove “realtà virtuali”, splendido ossimoro che costò parecchio a parecchi. Anche allora si utilizzarono leve irragionevoli nella valutazione delle aziende della New Economy: in assenza di utili, previsti in un ipotetico futuro, la leva si applicava alle utenze previste per i siti, con valorizzazioni iperboliche degli “hit” basate solo su piani ben presentati, soprattutto se da giovani rampanti. Il tonfo fu poderoso e tutti, dopo, si accorsero che il re era nudo, come succede adesso per i titoli “tossici”. Sopravvissero le aziende che avevano piani concreti e attuabili, un’accurata valutazione delle opportunità e dei rischi, una leva finanziaria a livelli realistici.

Un aspetto dell’attuale crisi molto difficile da accettare è che nessuno, analisti, valutatori, organi di controllo o autorità governative, si sia accorto che banche e istituzioni finanziarie utilizzavano leve di 40 o 50 volte il capitale proprio. La domanda centrale dovrebbe essere perché si siano lasciati assumere rischi così folli, ma sembra che si preferisca concentrare l’attenzione su come ritirare dal mercato i titoli “tossici”, affare non solo costoso ma difficile, visto che non si sa quanti siano e si continua a variare all’insù la stima. Per dare un’idea, ora vi è chi considera ottimista perfino Roubini. I titoli tossici derivano dall’utilizzo di queste leve assurde e dalla necessità di ripartirne il rischio sul mercato, si sa quindi, o si dovrebbe sapere, chi le ha utilizzate e autorizzate. In nome dell’emergenza, però, si preferisce non vedere, non sentire e non parlare, e mettere la polvere sotto il tappeto dell’intervento pubblico, a spese dei contribuenti e a carico delle future generazioni.

Il peggio è passato, ovvero gli scheletri nell’armadio. É possibile che il punto di minima sia alle spalle, ma attenti a non passare dal Ballo Excelsior all’orchestrina del Titanic, perché di iceberg ve ne sono ancora parecchi in vista. A partire dal settore assicurativo, citato come prossima bolla da molti, tra cui Bottarelli. Non è infatti facile pensare che le compagnie di assicurazioni possano restare immuni dalla crisi dei settori immobiliare e finanziario, strettamente interconnessi con il settore assicurativo, o possano non essere influenzate dalla diminuzione delle disponibilità di imprese e famiglie.

Ecco qui un altro scheletro nell’armadio, di cui ogni tanto si riparla, ma senza che si intravvedano azioni: le carte di credito e, più in generale, il credito al consumo, pericolose mine vaganti in particolare per Usa e UK. Il loro scoppio riaprirebbe consistenti falle nel sistema bancario, mettendo a repentaglio i piani di salvataggio, non solo nei due paesi citati.

Sotto questo profilo, l’Italia è uno dei sistemi meno esposti, per la sua propensione al risparmio rimasta, nonostante tutto, abbastanza elevata. Vi è però per noi, una possibile mina vagante che ogni tanto torna a fior d’acqua, vale a dire l’utilizzo della “finanza innovativa” da parte dei nostri enti locali. É recente la notizia, in relazione ad operazioni su derivati del comune di Milano, del sequestro di più di 400 milioni di euro presso quattro grandi banche internazionali, con alcuni funzionari delle banche e del comune indagati per truffa. È probabile sia solo la punta di un iceberg, dato che si parla ufficiosamente di diverse centinaia di enti coinvolti per cifre di alcune decine di miliardi di euro. Sembrerebbero quindi esistere motivi concreti di preoccupazione sulla fine reale della crisi.

Crisi di fiducia, ovvero la moglie di Cesare. Una componente rilevante di questa crisi è senza dubbio la caduta della fiducia. Il punto è che la fiducia non si instaura nascondendo la realtà, indorando in continuazione pillole il cui gusto amaro riemerge con il rapido sparire della indoratura. Ad esempio, si dice che la crisi di fiducia sia altissima tra le banche stesse che, oltre a non fidarsi dei propri clienti, non si fidano una dell’altra. Il che sarebbe normale in una banda di disonesti, ma non lo è tra gente perbene tra cui prevale la fiducia, non si teme di essere ingannati.

Dato il ruolo nevralgico delle banche, la trasparenza del sistema bancario è fondamentale e su questo i governi farebbero bene a intervenire decisamente, prima di investirvi masse enormi di denaro pubblico. Altrimenti rischiano di fornire un concreto argomento a chi accusa la classe politica di connivenza con il mondo bancario e finanziario.

Gli intrecci tra questo mondo e la politica non sono certo una novità, né sono un’esclusiva del mondo anglosassone: basta guardare a casa nostra, con Cirio, Parmalat, Unipol e via dicendo. Ma proprio in una crisi della portata di quella attuale la classe politica dovrebbe esibire trasparenza e pretendere trasparenza dagli altri attori. E non ridurre l’analisi della crisi a slogan elettorali, pratica in cui si stanno esercitando sia il capo dell’opposizione che il primo ministro. Visto che la moglie di Cesare non deve più essere al di sopra di ogni sospetto, che lo comincino a diventare i mariti.