In questi ultimi tempi sembra essersi acuita la tensione, da sempre esistente seppur latente, tra Nord e Sud del nostro Paese, con l’usuale scambio di accuse di sfruttamento e parassitismo. Sullo sfondo, il problema reale del divario tra le due parti dell’Italia che non sembra avviarsi a soluzione e alla cui origine vi sono molte cause, non ultime quelle storiche e in particolare risalenti all’unità dell’Italia.

Qui non si tratta di revisionismo sul Risorgimento, ma semplicemente di attenersi ai fatti: l’Italia fu fatta con la forza e nella indifferenza o nell’avversione di gran parte degli italiani. In almeno due casi, il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, si è trattato di una guerra di conquista del Regno di Sardegna contro due Stati indipendenti e sovrani. Il Lombardo-Veneto era sotto dominazione austriaca, non rifiutata da tutti peraltro, ma non aveva mai fatto parte di un Regno d’Italia e comunque il Regno di Sardegna era ad esso altrettanto straniero, anche se si era attribuito il compito di unificare, volenti o nolenti, gli italiani, motu proprio, o per incarico di alcune minoranze e, soprattutto, di alcuni poteri esterni.

Il punto cruciale è che, in nome di un’idea astratta e strumentale di nazione, si sono volute dimenticare le oggettive e ampie diversità tra i popoli che vivevano sul nostro territorio, che avrebbero richiesto almeno una forma federale, come suggerito da personaggi di rilievo quali Gioberti e Cattaneo. Invece si cercò, con la forza, di livellare tutto sul modello piemontese, a sua volta schiacciato su quello francese. Così si creò lo Stato italiano e i cittadini italiani, anche se alcuni rimasero per parecchio tempo di serie b, ma che si siano creati anche l’Italia e gli italiani è molto più discutibile. Spiace dirlo, ma più che il Risorgimento, in tal senso operò Mussolini con la sua dittatura improntata al nazionalismo.

Ora però l’Italia e gli italiani esistono, anche se mantengono buona parte delle differenze accumulatesi nella loro lunga storia; spesso tali diversità sono talmente cospicue da far pensare che esistano veramente più Italie, che mal si adattano ad uno Stato centralizzato e che meglio potrebbero esprimersi e gestirsi in uno Stato federale. Chi solo a parlare di federalismo grida al sacrilegio sbaglia, perché la formula federale non va affatto contro l’unità della nazione, come dimostrano ad esempio Germania e Stati Uniti.

Mi si dirà che sono discorsi da Lega Nord e che costoro vogliono la secessione. Non credo che questo sia il loro programma, ma vorrei ricordare che il primo movimento secessionista fu in Sicilia, alla fine della seconda guerra mondiale, da cui è originato lo statuto speciale che avvicina abbastanza questa regione (come le altre a statuto speciale) ad un vero e proprio stato di una federazione. Bisognerebbe quindi spiegare bene perché ciò che è stato concesso alla Sicilia o all’Alto Adige, con gravi costi a carico della collettività nazionale, diventi anti patriottico se richiesto dalla Lombardia o dal Veneto. Altrimenti si potrebbe pensare che è perché lombardi e veneti, a differenza di siciliani e altoatesini, non hanno mai preso le armi contro lo Stato italiano, ma ciò sarebbe molto pericoloso.

Un’unità raggiunta con la forza può ben essere modificata dalla volontà delle popolazioni, e se questo viene riconosciuto ai popoli africani colonizzati, dovrebbe esserlo anche agli italiani. Troverei legittima una proposta di referendum scissionista di Bossi, ma io voterei contro e sono convinto che la maggioranza dei lombardi voterebbe contro, stabilendo così definitivamente e per volontà popolare l’unità con l’Italia.

Le liti in famiglia sono spesso le più violente e le meno razionali, basate più sul rinfacciare che sull’argomentare. Se il senso della famiglia è forte, poi finisce a baci e abbracci, ma, se non ci si è spiegati bene, rimane qualcosa al fondo che porterà a nuove liti. È quello che succede agli italiani e ci sono molti, politici e non, che da questo traggono vantaggio. Occorre invece che si chiariscano seriamente le ragioni del divario, che si riconoscano francamente le diversità e le si accettino, evitando l’omologazione a modelli imposti da chi pretende di guidare la società, che si riveda insieme la propria storia per quello che è stata ed è, e non per quella che fa comodo ai cosiddetti intellettuali. E poi ripartire ciascuno per la propria strada verso il bene comune.