Con la elezione a sindaco di Giuliano Pisapia, i comunisti e i loro eredi sono tornati al governo di Milano. Tornati, perché già nel lontano 1975 si formò nella capitale lombarda una giunta di sinistra, formata da Pci, PSI, PDUP ( ex Democrazia Proletaria) e transfughi dal PSDI e dalla DC.  Nonostante l’avanzata del PCI e l’arretramento della DC, in Consiglio comunale vi era ancora una maggioranza di centro-sinistra, come nella precedente giunta capitanata dal socialista Aldo Aniasi, ma il PSI decise di varare una giunta di sinistra, per la quale i numeri non erano sufficienti, Dopo  un mese e mezzo di trattative, il 31 luglio fu rieletto dal Consiglio comunale (allora non vi era elezione diretta del sindaco) Aniasi, con i 40 voti dei partiti di sinistra, tre voti di scissionisti del PSDI (che confluiranno poi nel PSI) e di due “tecnici” democristiani (entrati direttamente in Giunta). Insomma, una sorta di “Responsabili” ante litteram, in versione di sinistra., a testimonianza di come certe procedure vengano da lontano.

Il pubblico presente nell’aula consigliare accolse la proclamazione della prima giunta di sinistra con ovazioni e canti, del tutto comprensibili peraltro, poiché la conquista di un centro nevralgico come Milano rappresentava un passo importante nella “lunga marcia” del PCI verso il potere. A livello nazionale ci sarebbero voluti ancora diversi anni e cambiamenti, quanto meno di denominazione del partito. Eppure, nessuno parlò di “Milano liberata”, avventata espressione usata dai vincitori di oggi. Il PCI di allora era molto diverso dai suoi successori, meno “fantasioso”, più rigido, qualcuno potrebbe dire più serio, o più plumbeo. Malgrado i proclami sul cosiddetto “eurocomunismo”, i legami con il Piccolo Padre moscovita erano ancora molto stretti, a tutti i livelli, e a Mosca non c’era stato il1968, con il suo “la fantasia al potere”. Tuttavia, e per fortuna, molti consiglieri comunisti mostravano qualche disagio quando dai banchi del PDUP si elevavano lodi al compagno Stalin.

In un partito che non aveva ancora abbandonato del tutto il leninista centralismo democratico, le primarie sarebbero state considerate un’eresia, come le correnti: gli eletti del PCI corrispondevano rigorosamente all’ordine di presentazione in lista scelto dal partito. La disciplina interna al partito lo rendeva decisamente diverso dagli altri, frastagliati in correnti e fazioni. Il che non significa che le discussioni nel PCI non fossero accanite, ma il dissenso non era ammesso una volta presa la decisione, pena la espulsione, anche se non si usavano più le vecchi invettive di “frazionista” o “deviazionista”. Però, a differenza dell’attuale PdL, i congressi si tenevano e le coreografie di partito non riuscivano a nascondere del tutto il dibattito interno.

 

Era quello un periodo estremamente difficile, passato alla storia come “gli anni di piombo”, gli anni del terrorismo di estrema destra e di estrema sinistra, con una lunga serie di stragi e attentati terroristici e un tragico numero di vittime. Per la sinistra, tuttavia, il terrorismo poteva essere solo nero e, sindaco Aniasi in testa, le Brigate Rosse venivano definite  “sedicenti”, vale a dire fascisti che si camuffavano da comunisti. Quando fu impossibile continuare a negare la realtà, si passò a definire le BR “compagni che sbagliano”, riducendo omicidi e stragi a semplici “sbagli”. Solo dopo l’assassinio di Moro, il PCI prese definitivamente le distanze dal terrorismo, quantomeno la  dirigenza e la base tradizionale. I movimenti o partiti che si erano andati creando alla sinistra del PCI continuarono a mantenere un atteggiamento più comprensivo nei confronti del terrorismo rosso.  

 

Pur non ancora così drammatica, la situazione attuale si presenta anch’essa molto difficile. Il dibattito politico si è decisamente incanaglito, in un momento in cui sarebbe invece necessaria una  unità di intenti. La situazione geopolitica è forse la più difficile dalla fine della Guerra Fredda e il terrorismo è ancor attivo su scala mondiale, anche se ha per la gran parte il colore verde dell’estremismo islamico.

Sul piano locale, le promesse di ribaltare tutto quanto fatto dalla precedente amministrazione, a partire da PGT e Expo, non fanno sperare bene. Si stanno forse aspettando nuovi “anni di piombo” prima di trovare un ambito di azione comune?

 

Proprio nel 1975 avvenne l’occupazione di un edificio in Via Leoncavallo, dando luogo alla nascita del più famoso dei “centri sociali” milanesi, tornati recentemente alla ribalta e di cui Pisapia sembra essere buon amico. Avremo un sindaco di lotta e di governo? Della giunta fanno parte esponenti di quella parte del mondo cattolico che ha sostenuto con convinzione la candidatura  di Pisapia, ma la prima decisione importante della Giunta è stato il patrocinio del Gay Pride. Speriamo in un futuro migliore?. Sull’Ecopass la precedente amministrazione ha fatto parecchi pasticci, ma la sua estensione a così vasto raggio, propugnata dall’attuale giunta, sembra solo un ballon d’essai.

 

Per finire, anche i festeggiamenti per la vittoria dei sì ai referendum sembrerebbero mal riposti, ora che si cominciano a stimare i costi di questa vittoria.  E se grandi elettori come De Benedetti sono molto soddisfatti per le positive ricadute sulle proprie società, colpiscono le lamentele delle public utilities degli enti locali emiliani o toscani. Che sperassero anche loro nel fallimento dei referendum?