Lunedì scorso è apparso su Spiegel online, nella rubrica “Il canale nero”, un articolo intitolato “Fuga all’italiana del capitano” a firma Jan Fleischhauer, che cominciava con questa frase “Mano sul cuore: qualcuno si è sorpreso che il capitano del disastro della Costa Concordia fosse un italiano? Ci si può immaginare una simile manovra, seguita poi dall’abbandono della nave, da parte di un capitano tedesco o, ancora meglio, britannico?“.

L’articolo è stato subito ripreso con toni duramente critici dal corrispondente in Germania di Repubblica, Andrea Tarquini, e poi da altri organi di stampa, in prima linea il Giornale con un titolo molto poco conciliante: “Tedeschi, a noi Schettino, a voi Auschwitz.”, ripreso anche in un editoriale di Alessandro Sallusti.

Sul web si è subito scatenata la tifoseria, chi infuriato contro i tedeschi, chi sostanzialmente d’accordo con Der Spiegel, chi contro Berlusconi, che ci sta sempre. Vittorio Zucconi, sul blog di Repubblica, stigmatizzava il Giornale per un passato titolo in prima pagina con un “culona” riferito alla Merkel, qualcun altro ricordava una vecchia copertina dello Spiegel che, con un piatto di spaghetti con su una P38, dava dei mafiosi agli italiani.

Bagarre giornalistica? Mica tanto, perché lo stesso Der Spiegel Online ha pubblicato sotto l’articolo una lettera del nostro ambasciatore a Berlino, Michele Valensise, in cui si esprime meraviglia e irritazione per un articolo “offensivo e infondato”, definito “una provocazione a buon mercato”. L’ambasciatore invita a non addossare a un popolo intero il comportamento di un singolo, comportamento sotto inchiesta della magistratura, e ricorda l’apporto che tanti lavoratori italiani hanno dato alla Germania e alla sua economia.

L’autore ha dichiarato di essere stato frainteso e, leggendo l’articolo nell’originale, si può essere almeno in parte d’accordo. Fleischhauer parte dalla frase citata su Schettino, ma per una disanima sui luoghi comuni che viziano il confronto tra popoli, citando la generale attribuzione ai tedeschi di scarso senso dell’umorismo o agli inglesi di una pessima cucina. Il giornalista va oltre e pone alla base dell’attuale crisi europea l’aver voluto imporre una moneta unica a culture, anche economiche, così diverse. E, aggiunge, per capirlo non c’era bisogno di testi economici, bastava un giro per Napoli o nel Peloponneso: “La risposta della Cancelliera è che tutti diventino quindi come noi; si vedrà quanto questo accadrà.”

Tuttavia le nazioni per fortuna cambiano: 2000 anni fa “gli italiani comandavano su un impero che andava dall’Inghilterra all’Africa.”, mentre “i tedeschi fanno fatica a far funzionare il traffico ferroviario quando c’è molta neve e ghiaccio.” Fleischhauer conclude l’articolo sottolineando che i cliché impiegano molto a morire, anche generazioni intere.

Come si vede, le frasi su Schettino e gli italiani sono prese solo come spunto per un discorso molto più ampio e non specificamente contro il nostro Paese. Anche il riferimento a Napoli può essere considerato del tutto oggettivo. Ho in passato lavorato sia a Napoli che ad Amburgo, due città che amo, ma che non posso non considerare sideralmente diverse.

Quindi, tanto rumore per nulla? Non credo, anche perché diversi commenti dei lettori tedeschi esprimono critiche, particolarmente per i toni usati. Uno, con un certo snobbismo, invita l’autore a ricordarsi che scrive su Der Spiegel, non sulla Gazzetta dello Sport! E quello della supponenza teutonica nei nostri confronti sembra essere il vero problema.

È del tutto probabile che Fleischhauer non ce l’abbia con l’Italia, ma altrettanto probabilmente non si sarebbe azzardato a fare un simile esercizio con inglesi, francesi o americani. Né, con loro, lo Spiegel avrebbe lasciato passare un simile titolo. Soprattutto in questo momento di tensioni all’interno dell’Europa.

Ha tuttavia ragione chi afferma che la maggioranza dei tedeschi ama l’Italia, per il clima, i paesaggi, la cucina, anche se penso che consideri al contempo gli italiani come dei miracolati indegni di tanta grazia di Dio, sorvolando peraltro sui tesori d’arte che gli italiani hanno saputo produrre nei secoli, anche dopo l’Impero Romano. D’altra parte, credo che la maggioranza degli italiani non ami né Germania, né tedeschi, pur ammirandoli per certi aspetti.

In conclusione, solo questione di cliché le diversità tra italiani, tedeschi, francesi, inglesi e via dicendo? E davvero la soluzione è diventare tutti tedeschi? Forse valeva la pena che Fleischhauer si concentrasse su un punto, quello della “camicia di forza di una moneta comune”. Ho l’impressione che su questo avrebbe raccolto molti più e più calorosi consensi.