“L’erba grama la moeur mai!”, l’erba cattiva non muore mai: questo detto milanese probabilmente descrive bene le reazioni degli esuli cubani, e altrettanto probabilmente, anche di molti cubani rimasti nell’isola, alla notizia che il líder máximo è ancora vivo e vegeto, anche se fuori della politica attiva. Non si fraintenda, non sto parlando di Massimo D’Alema, ma di Fidel Castro.
Negli ultimi tempi erano girate insistenti voci, se non della sua morte, almeno di un “colpo” che l’aveva reso incosciente e inattivo. Invece, questo lunedì, lo stesso 86enne Castro ha smentito la notizia con un suo articolo su Cubadebate, sito che si presenta come voce del “Circolo dei giornalisti cubani contro il terrorismo”, che ha anche una sua versione in italiano. In questo caso, ovviamente, i “terroristi” sono gli Stati Uniti.
L’articolo a firma Fidel Castro ha un titolo provocatorio, “Fidel Castro sta agonizzando”, e inizia accusando il “pollaio imperialista”, in particolare il giornale spagnolo ABC, di aver diffuso stupidaggini e menzogne sul suo stato di salute. E prosegue ricordando come una simile opera di disinformazione fu attuata nel 1961, quando si volle far credere che gli invasori sbarcati alla Baia dei Porci erano arrivati all’Havana.
Per chi non lo ricordasse, con sbarco della Baia dei Porci si indica il tentativo compiuto nell’aprile di quell’anno di rovesciare il regime castrista, condotto da un corpo di spedizione di esuli cubani, addestrati dalla CIA. L’operazione era stata approvata, nonostante molti pareri contrari tra i suoi consulenti, da John F. Kennedy in persona, pur considerato un’icona da democratici e pacifisti. L’operazione si concluse con un completo fallimento, con qualche centinaio di morti tra gli anticastristi, i regolari cubani e i civili. Circa 1200 esuli si arresero e furono rilasciati dopo un paio d’anni in cambio di alimenti e farmaci.
Castro affronta anche un altro momento caldo di quegli anni, di cui ricorre proprio in questo mese il cinquantesimo anniversario: la crisi determinata dalla presenza a Cuba di missili sovietici, generalmente ritenuto il periodo in cui maggiormente si è rischiato uno scontro diretto tra le due potenze, trasformando quella che fino al momento veniva definita “fredda” in una vera e propria guerra, per di più nucleare. Fu proprio il deterrente nucleare a convincere Kennedy a non attaccare le installazioni sovietiche nell’isola e, allo stesso tempo, a convincere Khrusciov a ritirare i missili da Cuba.
Nel suo articolo, Fidel afferma di aver accettato gli aiuti sovietici, armi, petrolio, alimenti, e altro, per difendersi dai piani americani di invasione, come quello dell’anno prima. Una guerra, quella degli Stati Uniti, dice Castro, che durava fin dall’inizio del suo avvento al potere e che era già costata al popolo cubano migliaia di vittime. Nessuna scusa, quindi, per la decisione di accettare sul proprio suolo i missili sovietici, una decisione eticamente irreprensibile, dice il lider maximo, aggiungendo con orgoglio: “… è passato mezzo secolo e noi siamo ancora qui, a testa alta”.
A giudicare da questo articolo, ammesso che lo abbia scritto di suo pugno, non vi è dubbio che lui sia ancora lì e a testa alta; si può pensare, tuttavia, che buon parte del suo popolo sia invece a testa bassa, sotto una dittatura che rimane molto oppressiva, malgrado alcuni recenti miglioramenti.
Per concludere, interessante il passaggio in cui fa presente come i missili che gli USA avevano in Turchia fossero decisamente più vicini all’URSS di quanto quelli a Cuba fossero agli Stati Uniti. Questa osservazione riflette ciò che poi accadde, cioè il ritiro dei missili americani dalla Turchia, e dall’Italia. Si può forse pensare che da quella crisi dell’ottobre 1962, il punto più vicino a una possibile catastrofe nucleare, sia cominciato un lento ma continuo cammino verso un allontanamento del rischio di una guerra nucleare tra le due superpotenze. Fino a questi giorni, quando si è ricominciato a parlare di armi nucleari, con riferimento all’Iran. Ma Cuba questa volta non c’entra.