A volte ritornano. Gli zombi. I politici, non ritornano. Rimangono. Ormai, Berlusconi è un politico e, quindi, rimane. Eppure, questa volta ci avevamo quasi creduto alla sua uscita di scena e quando è arrivata la notizia della condanna, alcuni hanno pensato che l’annuncio un po’a sorpresa fosse stato fatto per evitare che il suo ritiro venisse attribuito alla pressione dei giudici, della cui decisione aveva avuto probabilmente sentore.

Invece no, rimane sul campo per riformare il sistema giudiziario nell’interesse di tutti i cittadini. Credo che sull’obiettivo possa raccogliere un’adesione bulgara da parte degli italiani; qualche dubbio in più che possa raccogliere lo stesso plebiscito alle prossime elezioni. Ad ogni modo, con questa dichiarazione ha rimesso in subbuglio la scena politica e, se lo scopo della procura di Milano era di metterlo definitivamente fuori gioco, possiamo ben parlare di eterogenesi dei fini. A meno che si tratti di un’ultima mossa per andarsene realmente tra poco, dopo aver ripreso in mano il suo sbandato partito e sistemato i suoi riottosi feudatari. Comunque, potrebbe mettersi alla testa di una coalizione di centro destra non più da candidato premier, ma come regista e vessillo per le elezioni di primavera.

Il suo principale problema rimane quello di presentare un successore, degno sia dal suo punto di vista (senz’altro per lui determinante), sia per gli elettori. Questo è forse il maggior fallimento del Cavaliere, che non è riuscito a fare in politica ciò che ha fatto, bene, nelle sue aziende: queste ultime sono andate avanti, e possono continuare ad andare avanti, senza la sua diretta presenza, ma ciò sembra impossibile al suo partito, la cui stessa esistenza è messa in discussione dalla sua assenza.

Un problema generale della nostra politica, l’incapacità di assicurare una successione, incapacità da cui era sostanzialmente esente la Prima Repubblica, dove raramente si sono creati vuoti, anche nei periodi più drammatici. La cura che i capipartito, e i capi delle correnti nei partiti, ponevano nel provvedere alla propria successione portava a definire “delfini” i successori in pectore, manco si fosse alla corte del re di Francia. Certo, questo era l’aspetto negativo, partiti e correnti come cosa propria, ma vi era anche la preoccupazione positiva di non lasciare vuoti di potere, che avrebbero danneggiato non solo il partito, ma anche la comunità.

D’altra parte, non è che i partiti oggi non vengano considerati “cosa nostra”, e oggi invece di delfini si parla di Casta. I cambiamenti avvengono, perciò, per fratture tettoniche, sulla faglia dell’antipolitica, come quella fasulla alla Grillo, piuttosto che su quella dell’età anagrafica, come la rottamazione alla Renzi. Le scosse si propagano, generando una serie di microsismi che frantumano lo scenario politico, come dimostra la miriade di “movimenti” che si stanno costituendo.

A pensarci bene, se la situazione è quella descritta, non c’è da meravigliarsi che Berlusconi, dopo il suo “non ci sto” alla sentenza, decida di starci al comando del centrodestra, e lui stesso ha dichiarato che la seconda decisione è conseguenza della prima. Se Berlusconi mantiene la sua scelta, penso sia un po’ difficile che passi la nuova legge elettorale, perché anche il nuovo Pdl, come Bersani, avrebbe forse più interesse ad andare con il vecchio porcellum.

A questo punto, i più grossi problemi si porrebbero a sinistra, dove sarà difficile individuare un capocordata che possa battere un ricostituito centrodestra sotto la guida di Berlusconi, sempre che ciò accada. A meno che la risposta venga dall’Africa. Intendo dire, richiamando Romano Prodi dal suo incarico a capo di un comitato Onu per il peace keeping nel Sahel. Tutto sommato, è stato l’unico a battere Berlusconi per ben due volte, come ha ricordato lo stesso Prodi. E poi, l’Africa è copyright di un altro “ritirato”,  Walter Veltroni. E Monti? A sentire molti commentatori di questi giorni, c’è sempre il Quirinale disponibile, subito dopo le prossime elezioni.

Certo, se gli italiani dovessero ancora scegliere tra Berlusconi e Prodi sarebbe il trionfo della commedia all’italiana. Ma dopo tutto, resta uno dei nostri migliori prodotti, insieme agli spaghetti alla puttanesca.