Per la saggezza volgare, cioè del popolo, quando non si vuole affrontare realmente una questione, si nomina una commissione di studio. Insinuazione appunto volgare, ma purtroppo confermata dai fatti, almeno in Italia. Tanto per fare un esempio, si veda come è finita la famosa Commissione Giovannini sul riallineamento degli emolumenti ai nostri parlamentari.
La storia rischia di ripetersi su un grave e reale problema italiano: la diffusa corruzione nella pubblica amministrazione. L’attuale governo ha istituito una commissione di studio, presieduta da un magistrato della Corte dei Conti, Roberto Garofoli, che ha prodotto un rapporto dal titolo: “La corruzione in Italia. Per una politica di prevenzione”.
Il rapporto consta di più di 400 pagine e, pertanto, mi sono letto solo le schede di presentazione, dove si sottolinea come non sia più sufficiente l’azione di repressione penale, ma sia necessaria anche una capillare opera di prevenzione. Credo che nessuno possa dissentire, anche perché la diffusione della corruzione deriva anche da una corruzione nella cultura del Paese. Tuttavia, qualche dubbio mi è venuto di fronte a frasi simili: “occorremoltiplicare –nel prevenire fenomeni di corruzione- le barriere interne all’amministrazione”, cioè, “ imponendo elevati livelli di trasparenza ‘totale’, irrobustendo ‘l’integrità’ dei funzionari pubblici …” e simili. Mi sembra che qui si sfiori la tautologia, dato che pare del tutto ovvio che l’opacità delle procedure e la parzialità dei funzionari fossero alla base della corruzione. A proposito, perché integrità è tra virgolette, come fosse un modo di dire?
Il rapporto suggerisce anche la “elaborazione di un sistema organico di prevenzione della corruzione affidato ad un’Autorità nazionale indipendente che formuli linee guida per le singole amministrazioni e ne controlli l’attuazione.” Ci siamo superati, una Commissione che propone una nuova Autorità! Non bastano tutti gli organismi di controllo già esistenti, a partire dalla Corte dei Conti, ben rappresentata nella Commissione? E chi nominerebbe l’Autorità, i politici e i funzionari pubblici, oggetti e soggetti di corruzione, o la eleggerebbero i cittadini direttamente? In quest’ultimo caso, come si farà a evitare che partecipino anche corrotti e corruttori?
Il rapporto dichiara che molte delle sue conclusioni sono state recepite nel disegno di legge anticorruzione, perciò possiamo stare tranquilli, il governo vigila. Tuttavia, senza voler essere irriverente, mi sembra che la montagna abbia partorito il topolino e vi sono altri passaggi del rapporto che lasciano perplessi. Il rapporto cita dati giudiziari da cui si rileva una discesa dei casi di denuncia e condanna per reati connessi alla corruzione: per esempio, il numero di condanne per questi reati è sceso da 1700 nel 1996 a 239 nel 2006. Sembrerebbe, quindi, che il bagno purificatore di mani Pulite abbia avuto effetti positivi, invece si afferma che la corruzione sta di nuovo dilagando. Cosa si deve concludere, allora, che la magistratura ha completamente fallito il suo compito e non riesce neppure più a scoprire e condannare i corrotti?
La Commissione fa presente, a tal proposito, che si evidenzia “un rapporto inversamente proporzionale tra corruzione ‘praticata’ e corruzione ‘denunciata e sanzionata’: mentre la seconda si è in modo robusto ridimensionata, la prima è ampiamente lievitata “. Parrebbe di capire che i giudici non c’entrano, sono gli italiani che non denunciano, e perciò la serie di iniziative proposte che dovrebbero coinvolgere anche l’intera comunità. Lascia perplessi, però, che tale affermazione non derivi da dati originali della Commissione, ma la lievitazione della corruzione praticata sia dimostrata da “ i dati sul Corruption Perception Index di Transparency International”. Ora, non vorrei essere banale, ma tra praticato e percepito esiste una certa differenza, come a tutti noto dal confronto tra temperatura reale e percepita. Inoltre, sarebbe interessante sapere su quale base statistica sia fondato questo indice, perché la visita al sito dell’associazione che lo produce mi ha dato l’idea di qualcosa di più simile a un sondaggio di opinioni che a una ricerca scientifica.
La nostra stampa non si è posta tali problemi e ha dato all’Index il rilievo mediatico dovuto al fatto che ci mette alla pari, in quanto a corruzione, del Ghana e della Macedonia, il che si presta senza dubbio a titoli ad effetto. Titoli che, magari, non impressionano più che tanto gli scafati italiani, ma che avranno un bell’effetto sugli ormai pochi stranieri che pensavano di investire nel nostro Bel Paese. C’è da chiedersi se, senza la cassa di risonanza di un rapporto governativo, Transparency International avrebbe avuto tanta pubblicità e se è questo che il governo intende per piano di rilancio dell’Italia.
Sarebbe stato molto più utile cominciare a mettere mano a una vera riforma della nostra amministrazione pubblica, iniziando ad estendere ad essa il principio della responsabilità oggettiva esistente nella sfera privata. I risvolti positivi sul fronte della corruzione sarebbero stati inevitabili, ma non altrettanto, mi rendo conto, gli effetti mediatici.