L’uragano Sandy, o Frankenstorm, nome più adatto a quanto successo, ha provocato moltissimi danni che si stimano tra i 10 e i 20 miliardi di dollari, ma le prime stime vengono di solito riviste al rialzo. Ha causato anche più di 30 morti e vi sono ancora, purtroppo, molti dispersi.
Non sembri impietoso, ma gli addetti ai lavori stanno già valutando i risultati finali di questi eventi da un punto di vista economico e politico, aspetto importante dato che tra una settimana, martedì 6 novembre, vi sarà l’Election Day,. Ovviamente l’uragano non deriva da responsabilità politiche, anche se sono già in corso alcune polemiche sul mancato ordine di evacuazione di alcune zone minacciate. Non bisogna però dimenticare i danni all’immagine di Bush per il modo, ritenuto non adeguato, con cui era stato affrontato l’uragano Katrina.
Per il momento non si parla di rinvio delle elezioni, anche se Obama ha rinunciato ad andare in Ohio, uno degli importanti “stati in bilico”, per rimanere a Washington, pure colpita dall’uragano, e coordinare gli interventi federali.
La situazione economica è un punto focale nell’attuale campagna elettorale e la valutazione dei danni di Sandy e di come è stata affrontata l’emergenza sono elementi che potrebbero influenzare l’esito di martedì. Sulla stampa USA vi sono, infatti, molti confronti con gli uragani precedenti, con Irene, che colpì le stesse zone l’anno scorso e provocò danni tra i 10 e i 15 miliardi di dollari, e con il disastroso Katrina, del 2005, i cui danni arrivarono a un centinaio di miliardi di dollari.
E anche molto importante cercare di stabilire l’entità dei danni a lungo termine e molto dipende da quanto ci si è potuti preparare all’evento. Per esempio, alcuni commentatori pensano che non saranno esorbitanti gli effetti negativi della chiusura per due giorni consecutivi di Wall Street, cosa che non accade da anni, proprio perché gli operatori non sono stati presi di sorpresa, come invece accadde l’11 settembre.
Le regioni colpite da Sandy rappresentano quasi un quarto del PIL degli Stati Uniti, ma lo stop al lavoro e alla produzione sarà limitato a pochi giorni, per cui si può pensare ad un effetto sul PIL nazionale molto limitato. Anche qui molto dipenderà da quanto ci si sarà potuti preparare, anticipando o posticipando lavori, o organizzando il lavoro a casa, blackout permettendo.
Per molti prodotti si è trattato di un anticipo dei consumi, per creare le scorte necessarie per il periodo di “oscuramento”; per altri, più strettamente collegati all’evento, quali batterie, candele, si potrebbe ipotizzare addirittura un aumento nell’acquisto. In altri settori, come ristorazione, cinema, teatri, il danno per l’arresto dell’attività è irrecuperabile.
Per quanto riguarda i danni alle cose, sul lungo termine è importante valutare quanto essi saranno bilanciati dallo stimolo all’economia rappresentato dai lavori di ripristino, un po’ come avviene con le ricostruzioni dopo una guerra. E qui le opinioni divergono tra chi pensa che, al massimo, si recupererà quanto perso e chi ritiene possibile non solo recuperare, ma incrementare il PIL.
Chi sostiene la prima ipotesi, dice in sostanza che si ricostruisce ciò che già c’era, non si aggiunge nulla di nuovo, e occorrerebbe inoltre conteggiare i danni, non sempre facilmente monetizzabili, del non uso temporaneo dei beni, dei costi psicologici e fisici. Per non parlare dei posti di lavoro persi, non facilmente recuperabili, là dove le aziende avessero chiuso. Senza contare poi i morti, ma questi non entrano direttamente nel calcolo del PIL.
Vi sono, però, argomenti anche per l’opzione contraria. Come già accennato, per diversi prodotti si può verificare un aumento dei consumi e se ne possono aggiungere altri, come impermeabili, umidificatori, medicinali. Molti danni subiti verranno risarciti dalle assicurazioni, e una loro porzione sarà a carico di compagnie di riassicurazioni non americane, contribuendo quindi a un aumento del PIL USA.
Il rimpiazzo dei beni perduti porterà al rinnovo del parco di parecchi beni, sostituzioni che sarebbero state o non effettuate o rinviate nel tempo. I nuovi prodotti sono normalmente più efficienti, più sicuri e meno energivori, il che porta a diversi risparmi. Anche i nuovi edifici possono essere costruiti in modo da ridurre i consumi energetici e da reggere meglio ai futuri uragani.
Messe così le cose, viene da propendere per la tesi positiva e viene anche spontaneo il parallelo con i nostri terremoti, sperando che la ricostruzione avvenga secondo principi antisismici, non solo per incrementare il PIL, ma per salvare vite e patrimonio culturale. Sarebbe bello però che tutto questo fosse fatto comunque, senza aspettare i danni di uragani e terremoti.