A quanto pare, non era solo colpa di Berlusconi. Per anni ci è stato detto e ridetto che quella di Berlusconi era una politica personalistica, accentrata sulla sua persona di padrone del partito, coniando il termine “berluscones” per descrivere quelli che si ritenevano più famigli di un capo che membri o attivisti di un vero partito. La vocazione al ruolo di prima donna di Berlusconi ha sicuramente dato una buona mano in tal senso.
Che un simile partito, sorto oltretutto dal nulla, potesse non solo sconfiggere l’occhettiana “gioiosa macchina da guerra”, ma rimanere sulla scena per una ventina d’anni vincendo un altro paio di elezioni, è stata attribuita, dai suoi detrattori, alla notoria stupidità degli italiani, quando non votano per la sinistra illuminata. Sarebbe interessante andare a rileggere questi commenti, espressi non solo dalla vecchia guardia del Pci, ma anche da personaggi poi migrati verso il mitico centro.
Per tutti gli oppositori di lungo corso di Berlusconi era perciò diventato un assioma che, tolto lui di mezzo, per i partiti si sarebbe riaperto un radioso futuro e gli italiani avrebbero finalmente riconosciuto la necessità di essere guidati dagli “illuminati”. Berlusconi si è più o meno ritirato, almeno dal proscenio, ma i partiti sono piombati nel caos, a sinistra, al centro, a destra, e la delusione per la politica unita alla ripulsa dei politici sta dilagando tra gli italiani.
E’ in buona parte comprensibile che la crisi di Berlusconi si sia riflessa pesantemente sul Pdl, come lo è che la più ampia crisi all’interno del centrodestra abbia posto sotto attacco la leadership personalistica di Bossi nella Lega. Più difficilmente spiegabili sono le difficoltà del Pd, declinate addirittura in termini generazionali e di “rottamazione”. Eppure, nel cosiddetto “ventennio berlusconiano”, alla guida del partito si sono alternati diversi nomi, da Occhetto, a D’Alema, Veltroni, Bersani. Non si può quindi parlare di personalismi, o per usare un vecchio termine di quelle parti, di culto della personalità. Tutt’al più, si può accennare a un certo approccio da “uomo della Provvidenza” per Romano Prodi, l’unico che sia riuscito a battere il Berlusca.
Il problema, allora, non è mai stato il protagonismo di Berlusconi, problema semmai solo per il suo partito. Il punto in discussione è la dissoluzione del concetto stesso di partito tradizionale, con una guida politica, un apparato amministrativo e di mobilitazione, un nucleo di iscritti che partecipavano più o meno alle decisioni e ne attuavano le linee guida e un elettorato che nel suo corpo principale si riconosceva nel partito che votava.
Non a caso, si definiva quel tipo di partito come popolare, per distinguerlo da quelli che si descrivevano come partiti di opinione, o dai movimenti, meno delineati e organizzati. Con caratteristiche diverse, partiti popolari erano la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito Comunista, il Msi, mentre il Partito Liberale e quello Repubblicano tendevano a configurarsi più come partiti di opinione. Entrambe queste tipologie mi sembrano difficili da ritrovare nell’attuale panorama politico, contrassegnato da residuati di quell’epoca alla ricerca di una nuova identità e da nuovi movimenti che, anche quando hanno successo, si configurano più come rappresentanti di protesta o di interessi più particolari.
Interessante notare come due di questi partiti “nuovi”, l’Idv e il M5S (movimento?) siano contrassegnati proprio da un padre-padrone, ora messo in discussione, a giudicare dalle rivolte contro Di Pietro e, ancora parziali, contro Beppe Grillo.
Questa corruzione del concetto tradizionale di partito è messa in evidenza, paradossalmente, dalla moda delle primarie. Nei congressi dei vecchi partiti, il confronto/scontro avveniva tra le varie correnti che rappresentavano le varie anime del partito, pur filtrate e a volte corrotte dalle personalità dei capi corrente. Paradossalmente, nelle primarie che si stanno delineando sia nel Pd che nel Pdl, l’accento è posto primariamente sulle persone, i programmi vengono dopo. E dei grandi temi di fondo non se ne parla un granché, a parte gli slogan. Lo stesso predominate personalismo sembra verificarsi nel proliferare di movimenti, partitini, gruppi, che si coalizzano anch’essi attorno a dei nomi, più o meno noti, prima che a programmi o ideali.
Insomma, l’uscita dal proscenio di Berlusconi sembra aver dato luogo ad una specie di “liberi tutti”. Il problema vero è però chi riuscirà ad andare “a tana” e liberare noi tutti dalla trappola infernale in cui siamo caduti. Che Dio protegga l’Italia!