Il blog di Beppe Grillo ha pubblicato un interessante post sulle Pmi, che riporta alcuni dati sulla pressione fiscale elaborati da Price Waterhouse Coopers, da cui risulta che la pressione sulle nostre imprese è a livelli stratosferici, il 68,3%. Se la Francia ci segue con un 65,7%, la Germania ci lascia “correre” (drammatico gioco di parole, lo ammetto) fermandosi al 46,8%, pur sempre molto di più del 38,7% spagnolo e del 35,5% della Gran Bretagna.



C’è da chiedersi perché parliamo di esotici paradisi fiscali, quando ne abbiamo all’interno della stessa Ue e dell’eurozona. E se non sembra abbastanza risparmiare quasi la metà del carico fiscale trasferendo l’azienda in UK, c’è sempre il Lussemburgo, che si accontenta del 21% dei profitti.

Sono andato a vedere lo studio, al suo ottavo anno di redazione e condotto in collaborazione con la Banca Mondiale, in cui gli 185 Stati vengono ordinati secondo la convenienza ad aprire un’impresa, combinando tre indici: la pressione fiscale, come abbiamo già visto, il numero dei pagamenti da fare e il tempo necessario per gestire la fiscalità e i relativi adempimenti. L’esito per noi è impietoso: nella scala di convenienza, l’Italia è al 131esimo posto, alla pari con l’Iran e l’Indonesia, immediatamente preceduta da Bielorussia (129), Bosnia (128) e Giappone (127), e seguita da Tanzania (133) e Zimbabwe (134).



Ai primi posti troviamo: Emirati Arabi Uniti, Qatar, Arabia Saudita, Hong Kong, Singapore e, prima in Europa, l’Irlanda. E i nostri vicini? La Francia guadagna la 53esima posizione, compensando la pressione fiscale con pochi adempimenti (7), con solo 132 ore richieste alle imprese. L’Italia richiede 15 adempimenti e 269 ore, mentre la Germania (72esima) è a 9 adempimenti per 207 ore. Una riduzione del numero degli adempimenti ci farebbe quindi guadagnare comunque competitività, ma il dato interessante è che il numero di ore richiesto per ciascun adempimento è un po’ inferiore al dato francese, e abbastanza rispetto a quello tedesco. Maggiore semplicità delle nostre disposizioni o maggiore efficienza delle nostre aziende?



Tra gli altri paesi dell’Ue, il Regno Unito si posiziona come 16esimo e la Spagna 34esima, combinando bassa pressione fiscale con un numero limitato di adempimenti. L’Austria (77) ci batte su tutti e tre gli indicatori e, fuori dall’Ue ma subito al di là del confine, la Svizzera guadagna il 18esimo posto, con il 30,2% di imposte, un numero elevato di adempimenti fiscali (19), ma eseguibili con gran rapidità, 63 ore.

Bene ha fatto quindi Grillo a richiamare lo studio sul suo blog e un plauso anche per l’appassionata difesa delle nostre Pmi: “Qui, o si salvano le Pmi o si muore.” Non si può che essere completamente d’accordo, anche se con qualche dubbio sulla sua ricetta: “Ci vediamo in Parlamento. Sarà un piacere.” Invito del tutto lecito in campagna elettorale e, soprattutto, essendo evidente lo stato d’animo dei piccoli imprenditori, ma credo che il problema richieda interventi più articolati della semplice sua presenza in Parlamento. 

Lo studio pone altresì in evidenza un altro aspetto del problema, oltre quello già drammatico della continua chiusura di nostre Pmi, cioè il progressivo dislocamento di nostre imprese sane, non più nei Balcani, ma in Francia, Svizzera e Austria. Con tutti i limiti che una ricerca come quella citata può inevitabilmente avere, le indicazioni rimangono incontrovertibili, perché verificate dall’esperienza.  

Basterebbe, infatti, sentire i nostri imprenditori e i loro rappresentanti per capire cosa sta succedendo al nostro tessuto industriale e manifatturiero e intervenire con decisione. E’ inutile elogiare, e magari gloriarsi, delle nostre Pmi, della loro capacità di competere sui mercati, del loro riuscire a trasformarsi in multinazionali, sia pur “tascabili”, e poi non dar minimamente retta, non dico ai loro discorsi, ma neppure alle loro esperienze. L’attuale presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, è uno di questi e si è molto speso su questi temi, mi risulta anche con Mario Monti.  

Al Professore non può di certo essere attribuita l’intera responsabilità di questa situazione, che risale all’ottuso operare dei precedenti governi di tutti i colori. Tuttavia, ci si può aspettare che come economista e come già presidente della Bocconi, Università per vocazione attenta al mondo delle imprese, ponga almeno orecchio a questo “grido di dolore”. Sperando che le sue capacità uditive non siano state completamente esaurite dai gutturali nein della Cancelliera.