L’antefatto è ormai noto: Romney ha attaccato la Chrysler, definita “proprietà degli italiani”, affermando che intende spostare la produzione delle Jeep dagli Usa alla Cina. Marchionne ha subito smentito la notizia, inviando una email ai dipendenti della Chrysler in cui rassicura sulla permanenza della produzione negli Stati Uniti. La stessa smentita è arrivata dalla General Motors, cui Romney aveva rivolto accuse simili.

Nel video in cui Obama attacca l’avversario dandogli sostanzialmente del bugiardo, è finito però solo Marchionne. La cosa di per sé sembra abbastanza ovvia, perché in fondo tutta l’operazione Fiat su Chrysler è potuta avvenire non solo per il rischio calcolato assunto da Marchionne e l’atteggiamento realistico del sindacato americano, ma anche per il forte e deciso appoggio di Obama.

Apparendo nel video contro Romney, Marchionne dà un aperto sostegno al presidente uscente, in un certo senso dovuto, ma reso possibile dall’errore dello sfidante repubblicano, che ha prestato il fianco all’accusa di dire bugie, agli occhi degli americani un crimine.

L’interesse dello staff di Obama ad utilizzare la faccia di Marchionne, si suppone con il suo permesso, è quindi evidente, ma è altrettanto evidente il vantaggio per Fiat? Perché così “gli italiani” si schierano decisamente per una delle parti in gara, che non è ancora certo che vinca. Forse è proprio qui il punto, alla Fiat serve che sia Obama il vincitore e, quindi, lo aiuta appena può. Questa volta, “gli italiani” non potranno essere accusati di correre in soccorso del vincitore. E Marchionne si conferma come uno che si assume rischi, che piaccia o no.

Anche da un punto di vista del mercato i riflessi dovrebbero essere positivi: la Chrysler, pur guidata da stranieri, si riconferma un’azienda americana, e ciò dovrebbe piacere anche ai conservatori meno estremisti. L’uscita di Romney era quasi obbligata, vista la sua posizione esplicitamente e radicalmente contraria alla politica di Obama di salvataggio della Chrysler e della GM; non a caso non ha attaccato la Ford, che se l’è cavata da sola.

In altri termini, il candidato repubblicano ha detto al suo elettorato più contrario agli interventi statali: vedete che avevo ragione, i democratici hanno speso i vostri soldi e aumentato il debito pubblico per salvare GM e Chrysler, pure data agli stranieri, e costoro spostano la produzione altrove, cedendo posti di lavoro al nostro principale concorrente, la Cina. Ha radicalizzato, cioè, la sua posizione di sempre: ormai l’Election Day è alle porte e il gioco si fa sempre più duro. Questa radicalizzazione preoccupa chi guarda al di là del momento elettorale, ma i due concorrenti pensano probabilmente di aumentare così il numero di chi andrà a votare per difendere i propri, seppur contrastanti, interessi: anche negli Usa l’astensione è il problema principale.

Con questa operazione la Fiat/Chrysler diventa sempre più americana, come è peraltro nella logica delle cose. Forse Romney ha percepito anche il paradosso cui ci si sta avviando, cioè una società di proprietà italiana, che si comporta come un’azienda americana e si lancia dagli States alla conquista dei mercati mondiali. Compresa la Cina, in cui, c’è da scommettere, la Chrysler comincerà quanto prima a produrre Jeep, pur senza spostare produzione dagli stabilimenti di Toledo.

Chi critica Marchionne si chieda se tale conquista sarebbe possibile partendo da Torino e si ricordi che l’Avvocato la sua Fiat torinese l’aveva venduta agli americani di GM. Che hanno pagato Marchionne purché se la riprendesse.

La strategia di Marchionne negli Stati Uniti sembrerebbe quindi chiara e porterebbe, come si è temuto finora, ad una progressiva uscita dall’Europa e dall’Italia. Al contrario, l’AD di Fiat ha annunciato un consistente piano di investimenti proprio in Italia ed Europa. L’ennesimo ballon d’essai o schizofrenia da protagonismo? Avanzo un’ipotesi. Fin dall’inizio Marchionne ha sempre affermato che il problema dell’industria automobilistica è dimensionale, che vi sono problemi di sovrapproduzione in alcune aree e che il numero dei giocatori a livello globale si sarebbe ridotto a poche unità, a parte le situazioni di nicchia. E’, ad occhio e croce, quello che sta succedendo.

Questa analisi il Nostro la faceva quando la Fiat era solo italiana, ma ora siamo di fronte ad una Fiat/Chrysler player globale, sia pure ancora debole. Un giocatore simile non può abbandonare l’Europa, nel mentre mira ad altri mercati in crescita come Cina e India. Solo che in Europa la concorrenza è fortissima e la Fiat presente nelle fasce meno redditizie del mercato. Logico che Marchionne parli di attaccare le fasce alte del mercato, ma per questo ci vogliono investimenti.

La domanda rimane però la solita: lo farà davvero? I sindacati sono, ovviamente, molto diffidenti, ma anche una fonte insospettabile come Il Sole 24 Ore ricorda che di piani Marchionne ne ha presentati otto, dal 2004 a oggi, e se i target finanziari sono stati normalmente rispettati, altrettanto non si può dire per investimenti e produzione. E la riduzione dell’obiettivo produttivo del gruppo per il 2014 da sei milioni di veicoli a meno di cinque sembrerebbe contraddire la stessa ipotesi di partenza.