C’è un argomento che tiene banco questi giorni in Francia, quello che chiamano exil fiscal, esilio fiscale. La miccia è stata accesa dalla decisione dell’attore Gérard Depardieu di chiedere la cittadinanza belga, con conseguente pagamento delle imposte in Belgio e non più in Francia.

Per la verità, avvisaglie ve ne erano già state qualche mese fa, quando Bernard Arnault, presidente del gruppo LVHM (di cui fanno parte anche Pucci e Fendi) aveva dichiarato di voler prendere la cittadinanza belga, pur mantenendo quella francese e negando motivi fiscali alla base della sua decisione. Perché tanto improvviso e inusuale amore per il Belgio?

Tutto parte dalla futura introduzione di un’aliquota del 75% sui redditi superiori al milione di euro, un impegno assunto da François Hollande in campagna elettorale. Il presidente ha dichiarato che l’imposta rimarrà solo per due anni, ma le reazioni sono state ugualmente forti, sebbene molti si siano dichiarati disponibili al sacrificio: una specie di patriottismo fiscale in risposta all’esilio fiscale.

Ciò che comincia a preoccupare in Francia non sono tanto i casi famosi come quelli citati, ma un progressivo esodo per un eccessivo e sempre crescente carico fiscale. L’opposizione ha già accusato di incostituzionalità alcune misure previste dal governo e gli ambienti economici cominciano ad agitarsi, parrebbe anche per un diverso giudizio sulla crisi attuale. Hollande ha infatti presentato queste strette fiscali come una necessità temporanea in vista di una ripresa nel giro di un paio d’anni, mentre gli ambienti economici sembrerebbero considerare questa crisi più strutturale che congiunturale. Il minacciato esodo non riguarda solo i “ricconi”, ma giovani imprenditori, manager e imprese che trovano più conveniente trasferirsi altrove; i Paesi più gettonati sono: il Belgio, la Svizzera e la Gran Bretagna. 

Dall’Italia, questa situazione sembra abbastanza familiare, ma anche sorprendente, visto che ci avevano descritto la Francia come un Paese virtuoso, ben lontano dai nostri problemi. Forse meno sorprendente per i lettori del Sussidiario, grazie ai diversi articoli che mettevano a nudo i nuovi re, Francia e Germania. 

L’esperienza francese conferma anche altri elementi discussi di recente, per esempio in occasione della Tobin Tax, e cioè che si è in presenza di un sistema di vasi comunicanti, in cui redditi, patrimoni e imprese, soprattutto se consistenti, possono trasferirsi da un Paese all’altro. Occorre uscire da una concezione del fisco che risale all’epoca delle gabelle municipali, problema non solo, ma soprattutto italiano. 

Interessante sotto questo aspetto l’osservazione di un ministro francese che, riferendosi a Depardieu, ha detto che invece di attaccarlo bisognava dirgli che “avevamo bisogno di lui”. Forse Oltralpe qualcuno comincia a capire che in uno Stato civile le imposte devono fare parte di un contratto con il cittadino e non applicate con il bastone del despota, o di una Casta autoreferente che si considera al di sopra della legge.

Infine, l’esilio fiscale non riguarda solo personaggi ricchi, più o meno famosi, ma sono anche i talenti e le imprese che se ne vanno, con un danno non solo per l’erario, ma per l’economia e la società tutta. Non a caso, già qualche mese fa, il premier inglese Cameron aveva promesso tappeti rossi ai francesi che volevano trasferirsi nel Regno Unito. Sarebbe stata possibile una proposta simile da parte del nostro Monti? A parte il livello del nostro carico fiscale, avrebbe dovuto trovare una spiegazione per le sempre più numerose imprese italiane che si trasferiscono in Austria, Svizzera, o perfino Francia. E sarebbe stato difficile nascondere l’inefficienza e le lungaggini della nostra burocrazia e la confusione delle nostre leggi.

Inoltre, dopo il pasticcio sulla Tav in Val di Susa, come avrebbe potuto convincere i francesi che le nostre infrastrutture sono alla pari delle loro? O dopo il caso Alcoa, che da noi l’energia è a buon mercato? Avrebbe però sorvolato con signorilità sulla situazione politica.

Gli imprenditori francesi si lamentano dell’ambiente ostile che il nuovo governo sta creando nei loro confronti e qui Monti cosa avrebbe potuto tirare fuori dalla manica: la Cgil, i casi Finmeccanica o Saipem, o cos’altro? Forse si sarebbe trovato più a suo agio con le banche, ma nessuno pare essersi proposto.