Ci risiamo, un’altro pezzo di pregio della nostra industria (Saipem) è sotto attacco della magistratura. E se nel caso dell’Ilva almeno c’era l’oggettiva questione della salute degli abitanti di Taranto, in questo caso, come nel precedente della Finmeccanica, si tratta di corruzione, reato grave ma che almeno riguarda i soldi e non vite umane.

In tutti e tre i casi si riscontra, pur tuttavia, un drammatico conflitto di interessi tra la necessità di indagare e punire reati e la salvaguardia di interessi economici, di imprese e lavoratori, e del Paese. Quest’ultima considerazione ha spinto, peraltro dopo molte esitazioni, il governo a intervenire con decreto sul caso dell’acciaieria di Taranto. La dichiarazione da Londra del vicepresidente del gruppo Riva di essere a disposizione della magistratura sembrerebbe soddisfare l’altro corno del problema, quello della giustizia, anche se la magistratura inquirente continua nella sua resistenza verso il potere esecutivo. 

Il problema non è limitato all’impresa privata, perché il conflitto tra magistratura e interesse del Paese era già emerso pesantemente nel caso Finmeccanica, un’azienda fondamentale in un settore strategico e in cui lo Stato ha una presenza determinante. Allora, da più parti ci si era chiesto perché non si fosse seguito l’esempio di altri Stati, in cui si cerca già dall’inizio di contemperare i due interessi in conflitto, assicurare la giustizia salvaguardando gli altri interessi coinvolti. 

Ora è scoppiato il caso della Saipem, azienda del gruppo Eni specializzata nella realizzazione di infrastrutture per la ricerca di giacimenti di idrocarburi e la messa in opera di pozzi petroliferi, che opera in tutto il mondo e non solo per la capogruppo. Un’altra delle nostre eccellenze, di notevole importanza per la nostra economia. 

Questa volta l’indagine è partita da un altro Paese, l’Algeria, la cui azienda petrolifera di Stato, la Sonatrach, è finita sotto inchiesta della magistratura locale per corruzione, trascinando con sé la Saipem, una società tedesca e un’americana. Le commesse cui si riferiscono le ipotizzate tangenti sono collegate all costruzione del gasdotto GALSI, che dovrebbe collegare l’Algeria alla Sardegna, dove l’Alcoa sta ormai chiudendo il suo stabilimento e la questione del Sulcis è ancora senza soluzione.

La procura di Milano ha quindi, necessariamente, aperto un’inchiesta sulla Saipem: il risultato immediato è stato un rimescolamento ai vertici della società e il crollo del titolo in Borsa. Naturalmente, la società dichiara di avere rispettato tutte le regole, ma il vicepresidente e amministratore delegato, Pietro Franco Tali, ha rassegnato le dimissioni, pur non essendo coinvolto nell’inchiesta, dimissioni che il CdA ha accettato.

Al di là degli aspetti contingenti, per quanto importantissimi, tutte queste vicende pongono problemi di fondo di non facile soluzione: lo Stato promulga le leggi, ma si trova esso stesso in situazioni in cui il suo interesse lo costringe a violarle. Un caso classico è quello dei servizi segreti che, per definizione, operano al di fuori della legge, anche se ciò non significa necessariamente contro di essa.

Questo della corruzione è un altro esempio, perché si sa che in molti Paesi non si possono “fare affari” in altro modo e non seguire questi metodi significa restare esclusi a favore di altri Stati, in cui governi e magistratura ad altri criteri antepongono la ragion di Stato. Insomma, le regole che valgono nella società in cui vivono i comuni cittadini sembrerebbero non valere nella società “abitata” dagli Stati, dove il fine parrebbe ancora giustificare i mezzi. 

Mi sembra un grande e importante dilemma che andrebbe esaminato a fondo, magari in tutti gli organismi internazionali che paghiamo con i nostri soldi, dall’Europa all’Onu. Nel frattempo, non vorrei che fossimo noi italiani gli unici a porci il problema, anche a costo di suicidare le nostre industrie.