Uno dei problemi che da sempre affliggono certe categorie, segnatamente politici e uomini di spettacolo (ultimamente è diventato peraltro difficile distinguerli tra loro) è la diffusa incapacità di invecchiare bene, senza diventare una macchietta di se stessi. È la triste riflessione che mi ha assalito ieri sera vedendo Celentano al Festival di San Remo. Celentano e io siamo coetanei, abitavamo nella stessa via, anche se non ci siamo mai conosciuti personalmente. Quando risento “I ragazzi della via Gluck”, chiudo gli occhi e rivedo con emozione la zona di Milano, allora ai margini della città, in cui ho passato infanzia e giovinezza. Per questa, e per tante altre canzoni, non posso che essere grato a Celentano. L’altra sera, invece, ciò che mi ha assalito è stata una grande pena. Vedere una persona che si è apprezzata ridotta alla larva di se stessa per la violenza di una malattia, o dell’età, induce un commovente senso di pietà, di compassione, che nulla toglie alla stima avuta per quella persona. Ma vedere Celentano ridotto alla macchietta di se stesso, non per la violenza dell’età, ma per un suo cedimento alla vanità e alla vanagloria, questo è stato uno spettacolo penoso. D’ora in poi, se riascolterò le sue canzoni dovrò fare uno sforzo per cancellarlo dalla memoria.
Ma poi è subentrata la rabbia, perché mi sono ricordato che quel triste spettacolo era pagato anche con i miei soldi, quelli del canone RAI e quelli della pubblicità pagata anche da me attraverso i prodotti che io e la mia famiglia consumiamo; credo che lo stesso pensiero sia venuto a molti altri italiani. Né vale l’ipocrisia del “ma io do tutto in beneficienza”. E no, caro Celentano, in beneficienza dai i tuoi di soldi, non i miei, a quelli ci penso io. Se avessi voluto essere coerente fino in fondo, saresti andato a San Remo senza farti pagare e, se proprio volevi, potevi anche metterci al corrente delle tue opere di beneficienza, quelle pagate da te, non da noi. Se per caso, caro Celentano, non avessi avuto idee chiare sulle opere da sovvenzionare, avresti potuto chiedere a quella Chiesa che pare ti stia tanto sul piloro. Ti avrebbero sommerso di indicazioni di posti in cui potresti andare anche tu, così desideroso di fare del bene. Attento, però, sono posti in cui bisogna mettere le mani nel fango, non concionare sotto i riflettori.
L’arrabbiatura peggiore è però nei confronti della RAI, che non perde occasione per dimostrare quanto il concetto di “servizio pubblico”, per cui siamo tassati ogni anno, sia una farsa, meglio, una esplicita presa per i fondelli. Professor Monti, non so se lei abbia avuto ragione a rinunciare alle Olimpiadi a Roma e spero che non abbia commesso un errore marchiano, ma le vorrei dare un suggerimento, si parva licet. Rinunci alla RAI, la sciolga, la venda o, se non è possibile, la faccia pagare solo ai politici, agli attori, a soubrette e veline, opinionisti e via andando con tutto il circo che di Rai vive. Loro saranno liberi di dire e cantare tutto quello che vogliono e noi, liberati dal canone, se staremo ancora ad ascoltarli almeno lo faremo gratis et amore Dei.