Esattamente vent’anni fa, il 17 febbraio 1992, l’arresto a Milano di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, dava inizio a Tangentopoli, l’inchiesta che avrebbe condizionato il successivo ventennio della vita politica italiana. 

Il primo risultato immediato fu l’indebolimento del quadripartito (Dc, Psi, Psdfi, Pli) alle elezioni di aprile, con il primo successo della Lega Nord. Il secondo fu la elezione, non prevista, a presidente della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro, scomparso di recente. Il terzo risultato fu la caduta del governo Amato, nell’aprile del 1993, e la successiva nomina da parte di Scalfaro di un governo tecnico, presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, fino ad allora Governatore della Banca d’Italia, primo presidente del Consiglio dei Ministri non parlamentare nella storia italiana.

Se qualcuno vuol trovare somiglianze con la situazione attuale, può essere aiutato dal fatto che il presidente della Camera del tempo era Giorgio Napolitano, subentrato a Scalfaro, e poi nominato senatore a vita nel 2005 da Ciampi, nel frattempo diventato presidente della Repubblica, di cui prenderà il posto l’anno dopo. E in questa veste nominerà senatore a vita Mario Monti prima di “suggerirlo” come presidente di un governo di tecnici.

Tuttavia, questo periodo passerà alla storia come l’era del berlusconismo, dopo la discesa in campo nel 1994 di Berlusconi, la quasi immediata caduta del suo governo alla fine del 1994, grazie al ribaltone della Lega (definita dal Pds D’Alema “costola della sinistra”) e al decisivo e discusso intervento di Scalfaro che costituì un governo tecnico affidato a Lamberto Dini, già ministro di Berlusconi.

Seguirà la vittoria della sinistra nel 1996, quella di Berlusconi nel 2001, ancora della sinistra nel 2006, e poi il ritorno di Berlusconi al governo nel 2008, fino alle recenti dimissioni e al ritorno di un governo”tecnico”. Si può quindi concludere che il “berlusconismo” ha assicurato una piena alternanza di governo, visto che Berlusconi è rimasto al potere per dieci anni e i suoi avversari per nove.

Alla caduta di Berlusconi nel 1994 contribuì in modo decisivo l’avviso di garanzia inviato dalla Procura di Milano a Berlusconi, durante un vertice dell’Onu sulla criminalità che si teneva a Napoli. Tangentopoli era ormai diventata “Mani Pulite”; se il primo termine identificava il reato, il secondo indicava la missione che una parte della magistratura si era assegnata: non di trovare le “mani sporche”, ma di ripulire la politica e, se possibile, la società intera. 

Sarebbe interessante rileggere le dichiarazioni di alcuni magistrati che sostenevano, in termini più o meno espliciti, essere compito del giudice non la semplice applicazione della legge vigente, ma la costituzione di un nuovo ordine.

Chi ha vissuto come me quei tempi, né da inquirente né da inquisito, ricorderà la sbornia giustizialista che imperversava nel Paese, con condanna di massa per politici e imprenditori. Confesso che in un primo momento ne fui preso anch’io, perché la corruzione sembrava veramente soffocare tutto. Poi, mi resi conto che i nostri giudici assomigliavano sempre più a dei Robespierre e dei Saint-Just in sedicesimo, che usavano procedure spicce e media compiacenti invece della ghigliottina. Non vi fu però nessun Termidoro, ma l’arrivo di Berlusconi e del suo “partito di plastica”, come lo chiamarono i suoi detrattori.

Nei dibattiti di questi giorni si è ricominciato a discutere se Mani Pulite salvò volutamente l’ex Pci e la sinistra democristiana. In uno di questi dibattiti, a La7, Di Pietro ha affermato che ciò è falso, anzi che i primi a essere indagati furono proprio esponenti di sinistra. Cosa vera, ma il punto è che quei processi non andarono avanti e una dirigenza post, ex, già, scegliete voi il prefisso, comunista si presentò baldanzosa alla testa di una sinistra sicura di vincere le elezioni del 1994. 

Fu proprio Berlusconi a impedire il trionfo della “gioiosa macchina da guerra”, secondo la definizione di Achille Occhetto, ultimo segretario del vecchio Pci prima che, nel 1991, cambiasse nome in Pds, sempre con Occhetto segretario. Anche qui la semantica è importante. Le elezioni del 1994 dovevano essere il coronamento della lunga marcia del Pci iniziata nel 1948, con le elezioni perse in aprile dal Fronte Popolare (comunisti e socialisti insieme) e la decisione di Togliatti di bloccare ogni tentativo insurrezionale dopo l’attentato di cui fu vittima nel luglio dello stesso anno. L’aggettivo “gioiosa” era quindi appropriato, ma quella del già Pci rimaneva comunque una poderosa macchina da guerra, anche se ormai solo organizzativa.

Cos’era però questo nuovo Pci? La “fratellanza” con Mosca era stata cancellata dal crollo dell’Unione Sovietica, senza forse rimpianti, ma senza neppure pentimenti, e le teorie comuniste erano state messe in soffitta, con il risultato che una consistente minoranza era uscita a sinistra con Rifondazione Comunista. Violando così un radicato tabù del Pci, che imponeva di non avere nemici a sinistra, e qualche risultato di questa violazione la si vede oggi nelle primarie del Pd. 

Una vera transizione a un partito socialdemocratico di tipo europeo non è avvenuta, non a caso, visto che per molti vecchi comunisti il termine socialdemocratico è stato per lungo tempo un’offesa sanguinosa, nel senso letterale in Unione Sovietica. E infatti, l’ultimo nome scelto ha assonanze americane: Partito Democratico.

Forse ha ragione Di Pietro, Mani Pulite non ha salvato il Pci, ma lo ha reso un partito borghese, con tratti radical-chic, e con tendenze giacobine, incapace di andare veramente a sinistra, ma anche verso destra, che considera populace da istruire e governare. Basterebbe andare a vedere le definizioni degli italiani che votarono nel 1994 per Berlusconi: il termine più gentile usato, anche da esponenti ora nel Grande Centro, fu ignoranti. O gli intellettuali di sinistra, alla Eco, che dichiaravano di non poter più vivere in un Paese simile, ma li abbiamo ancora qui.

Un partito che sembrerebbe voler rispondere alle esigenze degli Illuminati di Mani Pulite, ma forse anche questo non è del tutto vero, perché il feeling sembrerebbe essersi rotto. Né al pool di Mani Pulite sembra sia andata meglio dall’altra parte, visto che Berlusconi è ancora a piede libero; tuttavia, anche qui la situazione è abbastanza ingarbugliata da lasciare qualche speranza. 

Un’eredità però c’è, ed è il governo dei tecnici, che credo sarebbe piaciuto molto al pool di una volta. Ed è strano che invece non piaccia a Di Pietro. Ma forse è solo una questione di linguaggio.