L’evasione fiscale è sempre stata un problema oggettivo dell’Italia, tuttavia negli ultimi tempi ha assunto un ruolo inusitato, complice fuor di dubbio la pesante crisi nella quale stiamo vivendo. Infatti, si dice, se tutti pagassero le tasse si potrebbe ridurre la pressione fiscale, ormai giunta a livelli intollerabili per chi le tasse le paga. Ragionamento che non farebbe una grinza, se non fosse che nessuno ci crede, perché tutti i governi che finora si sono succeduti, compreso l’attuale, si sono dimostrati incapaci di ridurre la spesa pubblica. E il comune cittadino non si fida più di promesse e proclami e finisce per pensare che il maggior gettito fiscale andrebbe non in riduzione della pressione fiscale, ma in aumento della spesa pubblica, e dei conseguenti sprechi.

Questa convinzione viene rafforzata dal fatto che, nonostante tutta l’austerità applicata da questo governo, il rapporto debito/Pil continua a crescere; cosa peraltro che può stupire solo chi dimentica che si tratta appunto di un rapporto, una frazione con numeratore e denominatore. Quindi, anche nel caso che il numeratore, il debito, rimanga costante, se il denominatore, il Pil, diminuisce, il rapporto non può che aumentare. È il diretto risultato dell’aver privilegiato il rigore a scapito della crescita.

Inoltre, anche il cittadino comune, pur digiuno di spread, comincia a rendersi conto che il costo del debito pubblico italiano sta divenendo troppo pesante e rischia di vanificare ogni sforzo rigoristico. Così come comincia a non accontentarsi più della speculazione indicata come unica responsabile della situazione e a rendersi conto che la credibilità dell’Italia non era messa a rischio solo dal grottesco “bunga-bunga” senile di Berlusconi. Che credibilità può avere un Paese in cui Capo dello Stato e Primi Ministri sono impunemente intercettati ed esponenti del governo vengono indagati per trattative o collusione con la criminalità organizzata?

Difficile non trovare paradossale che il nemico pubblico numero uno non siano più mafia, camorra e le altre paraistituzioni criminali che tengono in ostaggio buona parte del nostro Sud, ma sia diventato l’evasore fiscale. Ovvio che l’evasione fiscale è un reato, ma davvero si pensa di combatterla con campagne pubblicitarie infamanti o con intemerate indignate come quelle di Napolitano? Evidentemente sì, visto il rilievo dato recentemente al libro “Lotta di tasse” di Francesco Delzio, che si definisce “manager e scrittore”, libro in cui si sostiene “l’espulsione sociale” di chi non paga le tasse, fino alla sospensione dei servizi dello Stato, compresi quelli sanitari, escluso il solo pronto soccorso. Roba da far impallidire giustizialisti come Di Pietro e i PM d’assalto.

Il libro è stato presentato, lo scorso 12 luglio, nella sala Moro di Montecitorio al solito pubblico di politici, banchieri e sindacalisti, con la partecipazione del presidente della Camera Gianfranco Fini che, forse dimentico di Montecarlo e dintorni, pare abbia plaudito alle tesi descritte. Contemporaneamente, il Presidente della Corte dei Conti, in un’audizione alla Commissione parlamentare sulla anagrafe tributaria, denunciava la farraginosità del nostro sistema fiscale e indicava la necessità di ripensarlo interamente.

Non è la prima volta che la magistratura amministrativa interviene in materia, apparentemente del tutto inascoltata da governi e classe politica, segnalando che il rendere difficile la vita ai contribuenti che intendono pagare le imposte, imponendo costi indebiti come quelli del commercialista, o l’altrettanto indispensabile intermediazione dei Caf, rappresenti un’ulteriore spinta alla evasione.

Come se non bastasse, nei giorni scorsi si è espresso sulla stessa linea nientemeno che Attilio Befera, il potente capo dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia, che avrebbe detto che compilare da soli un 730 è una missione quasi impossibile. Figurarsi l’Unico! Non a caso l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di commercialisti. A quanto pare, anche Befera è in favore di una radicale revisione del nostro sistema fiscale: “Il fisco italiano è un pachiderma. C’è stata una vera e propria bulimia delle norme fiscali negli ultimi 40 anni”. Evidentemente, non solo i contribuenti ma perfino i funzionari del fisco non riescono più a orientarsi nella giungla legislativa e regolamentizia.

Ribadiamo quindi tutte le necessarie condanne dell’evasione fiscale, tuttavia e per favore senza fittizie e strumentali indignazioni, visto che provengono spesso da démi-vierges, ma il punto principale rimane dotare finalmente l’Italia di un sistema fiscale degno di un Paese civile, in cui i contribuenti vengano trattati da cittadini e non solo da sudditi e, a priori, da potenziali evasori, in cui le leggi siano chiare e alla portata di tutti, anche di chi non ha a disposizione legioni di consulenti, in cui ciò che valeva il venerdì valga anche il lunedì successivo e dove le leggi si applichino in modo trasparente a tutti, senza un coacervo di differenti interpretazioni.

Per chiudere, e senza polemica, non vi pare un compito da governo tecnico?