Nel leggere il comunicato congiunto della Fiat e del governo verrebbe da chiedersi, a botta calda, che cosa si siano detti per ben cinque ore. Ma forse erano le aspettative ad essere eccessive.
La Fiat ha sostanzialmente ribadito la sua posizione, sintetizzabile in: il progetto Fabbrica Italia, con i suoi 20 miliardi di investimenti non c’è più, ma questo non significa che la Fiat lasci il Paese, poiché continuerà a produrre in Italia, compensando le perdite con i guadagni fatti negli Usa e altrove. Ha però ribadito di avere investito negli ultimi tre anni in Italia 5 miliardi di euro; nell’intervista a Repubblica, Marchionne aveva parlato di 1,8 miliardi e sarebbe interessante sapere come sono stati investiti i 3 miliardi e passa in più, perché servirebbe a capire meglio le strategie dell’azienda.
E’ senza dubbio importante il passaggio in cui si manifesta “piena disponibilità a valorizzare le competenze e le professionalità peculiari delle proprie strutture italiane, quali ad esempio l’attività di ricerca e innovazione.” Vero è che citare l’innovazione è ormai diventato una sorta di “minimo sindacale”, ma qui vi è il riconoscimento dell’importanza che la “testa” italiana continua a mantenere per Fiat. E sarà bene ricordarsi del ruolo della tecnologia Fiat nella conquista di Chrysler.
Rimane confermato, e senza possibilità di fraintendimenti, che ormai si deve parlare di Fiat-Chrysler come un’unica azienda completamente internazionalizzata, che può quindi decidere di perdere in Italia utilizzando i guadagni fatti altrove, ma che non ha più, per converso, il suo centro nel nostro Paese. Inutili piagnistei e moralismi, è un dato di fatto e, inoltre, la situazione sarebbe peggiore se al posto dell’italo-canadese Marchionne vi fosse un manager al 100% americano. O c’è ancora qualcuno che fa conto sul patriottismo del clan Agnelli?
Anche la parte del comunicato che riguarda il governo conferma la situazione precedente all’incontro: l’esecutivo non ritiene di dover o poter interferire con le decisioni di un’azienda privata, cui si limita a riconoscere l’importante ruolo che tuttora riveste nel Paese. Il paragrafo finale sembra scritto in politichese, compresa l’inevitabile commissione di studio: “Un lavoro congiunto utile a determinare requisiti e condizioni per il rafforzamento della capacità competitiva dell’azienda”. Non vorrei sbagliare, ma ciò significa solo che ciascuno andrà avanti per la sua strada.
C’è da augurarsi che nei prossimi giorni il governo riprenda, e rapidamente, alcuni punti sui quali esercitare un’opportuna moral suasion, ove necessaria, e intraprendere concrete azioni, queste senz’altro necessarie. Il primo punto è proprio quello del patrimonio di ricerca cumulato durante la vita dell’azienda, la cui perdita danneggerebbe tutto il Paese, che ha in larga parte contribuito a generarlo in tutti questi decenni.
Questa eccellenza, che tanto ha aiutato Marchionne nell’impresa con la Chrysler, non è proprietà esclusiva della Fiat e va difesa a tutti i costi, non necessariamente con denaro pubblico, ma con una decisa azione del governo per favorire tutte le collaborazioni a livello di ricerca e scientifico che renda controproducente spostare questi centri di eccellenza. Con maggiore convinzione e minori pastoie di tutti i tipi, non dovremmo temere la concorrenza di un MIT o simili. Ed è significativo che questo invito sia stato anche inviato alle due controparti dalla Cisl di Bonanni.
L’esito dell’incontro è senza dubbio negativo per tutti quei lavoratori il cui futuro dipende dalla permanenza della Fiat così come è ora, cioè da una cosa che si è ormai rivelata impossibile. C’è da sperare che sia stata la discussione di questo tema a rendere cosi lungo l’incontro, anche se non se ne fa cenno nel comunicato. Sarebbe immorale dare per scontato che il problema riguarda solo i lavoratori e le loro famiglie, anche se è ciò che capita tutti i giorni nel caso di lavoratori autonomi e di dipendenti di piccole imprese.
Se, da un lato, non si può pretendere che la Fiat tenga aperti stabilimenti non competitivi, dall’altro non si può neppure lasciare che se ne lavi completamente le mani; né si può pensare di risolvere tutto con la cassa integrazione a oltranza. Su questo sarebbe sì opportuno un gruppo di lavoro congiunto, in cui governo e Fiat cercassero le soluzioni meno dolorose per tutti, mettendo a confronto le proprie strategie industriali e attuando tutte le sinergie possibili.
Sono convinto che Marchionne abbia le idee abbastanza chiare sul cosa fare. Per quanto riguarda l’esecutivo, i precedenti governi hanno abbondantemente dimostrato di non sapere neppure cosa significhi avere una strategia, non solo industriale. Spero che l’attuale governo dimostri presto di averne una.