A volte ritornano. Nei giorni scorsi si è parlato di un possibile connubio tra Alitalia e Ferrovie dello Stato, come alternativa alla vendita a Air France- LKM in vista dell’abbandono della partita da parte degli azionisti italiani quando, dal 12 gennaio, saranno liberi di vendere le proprie quote. Si tratta di un ritorno, perché l’ipotesi era già stata avanzata nel 2008 da Berlusconi e su cui l’UE non aveva posto obiezioni, purché non si configurassero aiuti di Stato.



Allora era stata considerata una battuta del Cavaliere e lui stesso l’aveva definita una minaccia, ma per certi aspetti si tratta di una ipotesi non del tutto campata in aria, come ha dimostrato la reazione possibilista di Mauro Moretti, amministratore delegato di FS. Alitalia ha smentito che sia allo studio qualcosa di simile, così come Air France ha dichiarato non esserci alcuna trattativa per un acquisto della compagnia italiana.



Solo pochi però, dentro e fuori la società, pensano che Alitalia possa continuare così, senza stringere alleanze. L’attuale fase di transizione politica non facilita le cose, e se lo Stato non ha più, almeno teoricamente, alcun interesse diretto, si tratta pur sempre di un asset piuttosto importante per il Paese. Monti sembra aver dichiarato essere questo uno dei pochi problemi non posti al suo governo, mentre il ministro Passera ha detto che la questione deve essere opportunamente approfondita.

L’affermazione del ministro suona lapalissiana, ma tenendo conto del ruolo che ha avuto nella questione Airone – Alitalia, come Ad di Banca Intesa, forse l’affermazione è meno ovvia di quanto possa sembrare. Passera non ha attualmente rapporti con Banca Intesa, né è certo faccia parte del prossimo governo che dovrà comunque affrontare la vicenda, ma ha avuto una parte fondamentale nella redazione del cosiddetto “Piano Fenice” per Cai, di cui Banca Intesa è azionista, e nell’inglobamento di Airone in Alitalia. Questa operazione sembra aver risolto un po’ di problemi a Intesa e ai suoi crediti in sofferenza con Airone, mentre meno certi sono i vantaggi per Alitalia e, soprattutto, per i contribuenti italiani. Tra l’altro, risulta in corso una inchiesta dell’Antitrust, essendo scaduto il triennio di salvaguardia che il governo Berlusconi aveva garantito alla nuova società.



Come si vede, la questione rimane complicata e ha riportato alla luce anche la vexata questio della italianità della compagnia aerea, a difesa della quale era stata appunto scelta la cordata di imprenditori italiani. Ha ragione chi sostiene che è importante la qualità del servizio e non la nazionalità di chi lo presta, ma ciò non è vero nei casi in cui ha rilevanza il luogo in cui vengono prese le decisioni di politica aziendale.

Entrando a far parte di Air France, Alitalia avrebbe un peso specifico molto basso e tale da non influenzare più che tanto le scelte politiche della compagnia, nelle quali ha un certo peso lo Stato francese, principale singolo azionista. E la Francia è nostra concorrente in aree per noi nevralgiche come turismo e moda, dove le scelte riguardanti il trasporto aereo sono tutt’altro che irrilevanti.

Diverso sarebbe il caso se Alitalia entrasse a far parte di una compagnia asiatica, per esempio, poiché la complementarietà geografica permetterebbe una notevole sinergia senza particolari aree di competizione interna. All’epoca, uno studio del Certet della Università Bocconi aveva indicato due mercati particolarmente interessanti in India e Russia, ma si era anche parlato di Singapore e di Paesi arabi.

In questa ottica rientra anche l’eventuale ripresa del discorso con Ferrovie dello Stato. In alcune dichiarazioni di qualche tempo fa, Mauro Moretti sembra aver posto il dito sul principale problema del “Piano Fenice”, che è di tipo strategico, come più volte scritto su Ilsussidiario: la concentrazione sulle rotte domestiche ed europee, in particolare sul quasi monopolio della Milano – Roma, la tratta su cui è sempre più pressante la concorrenza dell’Alta Velocità, sia delle FS che di Italo.

Moretti guarda senza dubbio agli interessi della sua azienda quando suggerisce un ritiro di Alitalia dalla Milano – Roma, ma ha indubbiamente ragione quando suggerisce di concentrare investimenti e sforzi sulle percorrenze medio – lunghe e transoceaniche. Il punto sostanziale rimane che, come richiesto nel 2008 dall’Ue, non si tratti di aiuti di Stato, ma non credo che gli italiani possano accettare un ennesimo salvataggio dell’Alitalia con i soldi dei contribuenti.

Il nuovo governo, qualunque esso sia, dovrà occuparsi seriamente di una politica globale dei trasporti all ‘interno di una più generale politica industriale e delle infrastrutture, ma dovrà farlo senza perdere tempo. Dopo quattro anni, siamo al punto di partenza e la Fenice del piano sembra ben lungi dal risorgere dalle sue ceneri.