Da molto tempo ormai si ha l’impressione che, almeno in Italia, i confini tra spettacolo e politica siano diventati molto labili, e non perché la politica voglia impadronirsi anche dello spettacolo, ma perché la politica stessa è diventata spettacolo. E spesso è molto difficile capire a cosa si sta assistendo, come di fronte ai politici in molti talk show, compresi quelli della gauche caviar alla Santoro.

D’altra parte, e forse non a caso, i due personaggi che stanno tenendo la scena politica, Berlusconi e Grillo, vengono entrambi dal mondo dello spettacolo e dei media. Se fosse un’indicazione per il nostro futuro, il PD potrebbe eleggere segretario Benigni, che in fondo i galloni se li è guadagnati con il suo spettacolo sulla Costituzione “ più bella del mondo”, e per il Quirinale c’è già un candidato naturale, uno che sa “rappresentare” tutti gli italiani, o quasi: Crozza.

Ad evitare che, pensandoci su, possa sembrare veramente una soluzione ai nostri problemi, torniamo alla nostra spettacolosa, e spettacolare, realtà. E’infatti spettacoloso, cioè eccezionale, che l’Italia abbia una legge elettorale che favorisce il bipolarismo proprio quando i partiti si stanno frantumando. Ed è spettacolare, cioè impressionante, che di fronte al pericolo di implosione non solo dei partiti, ma del Paese, la classe politica non riesca a sollevarsi da diatribe che neppure un litigioso condominio sopporterebbe.

Il detto latino senatores boni viri, senatus mala bestia è senza dubbio ancora valido, ma i tanti politici che, singolarmente presi sono brave persone, non riescono a impedire che la mala bestia della politica ridotta a spettacolo riduca anche l’Italia a un semplice palcoscenico degli interessi altrui. Oltre un certo limite, la complicità cessa di essere una colpa minore del reato di cui si è complici, e questo limite in politica è già stato superato.

E’ preoccupante la realistica analisi di Ugo Finetti, secondo la quale i tre “extraparlamentari”, Grillo, Renzi e Berlusconi, quest’’ultimo probabile “extra” tra poco, potrebbero trovarsi alleati nel far saltare il governo per andare a nuove elezioni. Questo mal assortito trio potrebbe trovare, in effetti, un terreno comune nella riedizione del togliattiano “tanto peggio, tanto meglio”, che parrebbe coerente con il solo Beppe Grillo e il suo disfattismo programmatico. Oggi, tuttavia, neppure gli eredi del Pci dovrebbero avere interesse a gettare il Paese nel caos.

Sarebbe più utile rifarsi a un altro aspetto della politica di Togliatti, il realismo, che gli fece impedire la sollevazione comunista dopo l’attentato di cui fu vittima, che sarebbe stata negativa per tutti, come dimostrato dalla Grecia. Nella situazione attuale, realismo significa rafforzare, non indebolire, l’attuale governo, mettendo mano a ciò che si può fare insieme, facendo ciascuno un passo indietro rispetto a quanto ritenuto il meglio per poter realizzare il bene, come suggerisce la saggezza popolare e l’essenza stessa dell’azione politica.

In fondo, è quello che succede in altri Paesi, come in Gran Bretagna con la coalizione, tutt’altro che facile, tra Conservatori e Lib-Dem, e succederà in Germania, dove non si arrestano le laboriose trattative per un governo di coalizione tra Cdu e Spd, due partiti che si considerano avversari decisi, ma che accettano di fare i conti con la realtà.

Non è facile comprendere perché ciò non sia possibile da noi. Sembriamo prigionieri di un passato in cui chiamavano Francia e Spagna a dirimere le nostre questioni interne e preferivamo farci dominare da queste, e altre, potenze straniere. O come quando, durante la Guerra Fredda, una parte degli italiani invocava l’intervento dell’Armata rossa (a da venì Baffone), ma inutilmente perché gli accordi tra le potenze straniere ad Yalta lo impedivano. E lo impediva la maggioranza degli italiani che avevano fatto un’altra scelta. Per chi ha vissuto quel periodo, si è trattato di scelte tragiche, ora rischiamo invece il ridicolo, mettendoci nelle mani dei tecnocrati dell’Ue o di altri organismi internazionali e dei manager dei grandi gruppi dell’industria e della finanza internazionale.

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” (Purgatorio, Canto VI)