La vicenda o, forse meglio, la querelle attorno a Sephora, la grande profumeria multimarca del gruppo Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy), può essere letta sotto vari profili. Innanzitutto i fatti. A seguito di una denuncia dei sindacati, il tribunale ha imposto alla profumeria dei Champs-Elysées di rispettare l’orario di chiusura generale, stabilito alle 21, abbondantemente superato dal meganegozio che chiudeva, invece, a mezzanotte durante la settimana e alla una del mattino nel week end.



Le motivazioni delle associazioni sindacali ruotano su due assi, uno “legale”, cioè la legge deve essere applicata e deve essere rispettata da tutti, l’altro “sociale”, lavorare a così tarda ora è dannoso per i lavoratori. Ed ecco il primo aspetto sorprendente, la reazione degli stessi lavoratori che il sindacato vuole difendere. L’opposizione, anche legale, da parte della società alla decisione è ovvia e, dal suo punto di vista, giustificata, visto che dichiara di realizzare il 20% del suo fatturato durante l’apertura serale. Ciò che non è immediatamente ovvio è che 101 lavoratori su 165 coinvolti nella decisione del tribunale si siano dichiarati contrari alla chiusura e abbiano fatto anche loro ricorso al tribunale, la cui sentenza è attesa per il 9 di dicembre. Secondo Le Monde, la legale che rappresenta i ricorrenti ha detto di aver trovato, però, i giudici piuttosto freddi sul ricorso.



È interessante notare che molti di questi lavoratori, che hanno volontariamente scelto quell’orario, fanno presente come questa sia per essi la sola modalità possibile per lavorare, dato che sono studenti impegnati durante il giorno, che così possono mantenersi allo studio. Inoltre, queste ore vengono retribuite come lavoro straordinario, cioè con un incremento del 25% e giorni di recupero supplementari.

Dalla parte dei sindacati, come detto, si esprime preoccupazione per la salute dei lavoratori e si risponde alle proteste dei lavoratori affermando che, pur comprendendo la loro situazione personale, non possono fare eccezioni, salvo vedere la legge non più applicata a valanga. Vale a dire: dura lex, sed lex. In più, spostano la questione retributiva a carico della società, dicendo che invece di pagare di più gli straordinari, dovrebbe pagare meglio le ore “ordinarie”, evitando di sfruttare i propri dipendenti.



Indifferenti alle questioni di fatturato dell’azienda, i sindacati sono sembrati anche poco attenti agli stessi lavoratori, visto che i loro avvocati li hanno fatti arrabbiare mettendo in discussione la loro sincerità ed equiparando il lavoro notturno alla prostituzione. Sembrerebbe un dialogo tra sordi, piuttosto che tra rappresentanti e supposti rappresentati.

Un altro aspetto della questione è nella reazione dei clienti, anch’essa in generale non positiva. Buona parte della clientela è costituita da turisti, e da turisti facoltosi, e alcuni di essi hanno reagito quasi come se fosse stato leso un loro diritto. Altri hanno ritenuto incomprensibile, e un po’ masochista, che un negozio come Sephora, posto al centro della Ville Lumiére. chiudesse alle 20,30, come un qualsiasi negozietto di periferia. Altri hanno dichiarato di trovare strano che si impedisse alla gente di lavorare.

Quello di Sephora non è l’unico caso, perché la stessa Clic-P, cioè il Comitato di Liaison (collegamento) Intersindacale del Commercio di Parigi, ha impedito l’apertura domenicale a diverse altre catene distributive. D’altra parte, il comitato è nato nel 2010 proprio per opporsi alla cosiddetta “legge Mallié” che ampliava le possibilità di apertura domenicale degli esercizi commerciali.

Questo può essere un ulteriore profilo di lettura della querelle. Una volta, i negozi non aprivano la domenica per rispettare la festa religiosa, il settimo giorno in cui si doveva riposare, come il Signore dopo la Creazione. Ora, anche la Domenica è diventata una semplice questione sindacale.