Di fronte a ciò che sta avvenendo in Italia mi è venuta alla mente una vecchia canzone, “Profumi e balocchi”, che risale nientemeno che al 1929 e il cui autore è E.A. Mario, lo stesso della “Canzone del Piave”. In effetti, la crisi del 1929 viene spesso ricordata in queste circostanze, come anche quella fatidica “linea del Piave”, che sembra però continuare ad arretrare.

Vale la pena di riportare per intero il ritornello di quella vecchia canzone: ”Mamma, mormora la bambina, mentre pieni di pianto ha gli occhi, per la tua piccolina non compri mai balocchi. Mamma tu compri soltanto i profumi per te.” Credo che lo stato d’animo di una buona parte degli italiani nei confronti di uno Stato che si mostra sempre più matrigna sia ben riflesso in queste parole.

Gli italiani che dimostrano da giorni non chiedono balocchi, ma di poter lavorare per vivere, almeno nel nucleo originario delle manifestazioni. Per il momento non proclamano intenti rivoluzionari, come le frange estremiste di destra o sinistra chiedevano e chiedono nelle loro violente dimostrazioni, né richiedono rinnovi di contratti, come negli scioperi sindacali. Semmai, sia pure in modo forse confuso, chiedono un nuovo contratto tra cittadini e Stato.

Sono la parte “manifestante”, o forse solo manifesta, di quella che rischia di diventare la nuova maggioranza silenziosa, quella dell’astensione dal voto, per protesta o disillusione. La classe politica tuttavia, come la mamma della canzone, sembra continuare a pensare solo ai propri profumi.

Moltissimi italiani stanno più o meno “tirando la cinghia” e molti lo stanno facendo in modo doloroso, ma i politici, dai parlamentari ai consiglieri regionali e via scendendo? Sarebbe interessante sapere quali sono i sacrifici di costoro che li possono far sentire vicini dal resto degli italiani. Domanda da porre anche ad altri, per esempio ai grandi burocrati iperprotetti o a quegli imprenditori adusi a privatizzare i profitti e collettivizzare le perdite. Si eviterebbe così di dar adito a facili populismi.

Un buon punto di partenza sarebbe la questione degli emolumenti dei parlamentari, la cui riduzione non risolverebbe di certo tutti i nostri problemi, ma sarebbe un importante segnale per riaccostare i cittadini ai politici che dovrebbero rappresentarli. Lo stesso Parlamento aveva ritenuto reale questo problema, ma lo aveva affrontato al solito modo, costituendo cioè una commissione di studio per confrontare la situazione italiana con quella degli altri Stati Europei.

Costituita nel luglio del 2011, la commissione diede un clamoroso forfait nel marzo del 2012, dichiarandosi impossibilitata a portare a termine il suo lavoro. Sarebbe interessante sentire su questa vicenda l’attuale Ministro del lavoro, professor Enrico Giovannini, che fu a capo della suddetta commissione quando era presidente dell’Istat.

Mi pare che da allora la questione sia stata accantonata, anche se ieri il governo si è espresso su un altro punto collegato, dichiarando che verrà eliminato il finanziamento politico dei partiti. Visti i precedenti, molti si ricorderanno del vecchio detto ” passata la legge, trovato l’inganno”.

Il problema dei costi della politica rimane perciò decisamente rilevante e non riguarda solo il Parlamento, ma tutta la nostra struttura politica, dal Quirinale giù fino ai comuni. Senza tante commissioni, basta Wikipedia per accorgersi della nostra completa anomalia rispetto ai partner europei, e non solo. Un buon argomento offerto ai Paesi che si autodefiniscono “virtuosi” per negarci la loro pelosa comprensione.

La questione dovrebbe essere centrale per i nostri parlamentari, al pari della riforma del nostro bicameralismo perfetto, dell’articolazione dei poteri tra Stato e Regioni, della revisione delle strutture territoriali, problema che non si ferma certamente alle Province. Tutti provvedimenti in cui è centrale il Parlamento e non il Governo.

I nostri parlamentari, invece, non solo sembrano continuare ad interessarsi soprattutto dei loro profumi, ma passano un gran tempo a disquisire sulle “marche”, con le continue diatribe sui vari leader e leaderini dei frammenti di quelli che un tempo si chiamavano partiti.

Vale la pena di tornare al testo della vecchia canzone, quando alla fine la bambina sta morendo e la madre corre a svuotare la vetrina dei balocchi e li porta alla figlia, che però muore: “Mamma senza la sua bambina, il capo suo reclina, triste su quei balocchi piange la mamma pentita stringendoli al cuor.” Sentimentale e fuori dai nostri tempi?

Certo, è un testo che ha più di ottant’anni, scritto all’inizio di una crisi epocale, come la Grande Depressione. Ma i nostri politici farebbero bene a tenerlo presente. Perché se la bambina “Esile agonizza…. vuole toccare quei balocchi, ma il capo già reclina e già socchiude gli occhi”, gli italiani prima di socchiudere gli occhi prenderanno i forconi. Anzi li hanno già presi.