Gli ultimi giorni di Pompei. No, non mi riferisco all’omonimo romanzo ottocentesco, né ai vari film che ne sono stati tratti, ma ai crolli che si susseguono nel sito archeologico ormai da molti anni, senza interventi efficaci da parte delle “autorità competenti”.
I recentissimi crolli di stucchi e muri a Pompei, ultimi di una serie continua nel tempo, anche se non rilevata dalle prime pagine dei giornali, ha fatto immediatamente partire la polemica su un diverso trattamento del caso attuale rispetto ai crolli del 2010, che portarono a una mozione di sfiducia nei confronti di Sandro Bondi, allora ministro dei Beni culturali.
Le reazioni di Bondi paiono oggettivamente giustificate a livello personale, in quanto l’attacco fu direttamente a lui, pur con l’obiettivo strategico del governo Berlusconi, mentre in questi giorni quasi nessuno si è avventurato a chiedere le dimissioni dell’attuale ministro, Massimo Bray del Pd. In effetti, neppure il presidente Napolitano, che nel 2010 definì i crolli come “una vergogna italiana“, ha ora ritenuto necessario intervenire.
Indiscutibile, quindi, l’attuale prudente abbassamento dei toni, ma dovuto a cosa? Difficile sottrarsi all’impressione che i crolli a Pompei nel 2010 non fossero il vero problema, ma rappresentassero un’ottima scusa per un’operazione meramente politica contro il governo Berlusconi. D’altro canto, è difficile immaginare chi ora potrebbe chiedere le dimissioni del ministro. Non certo il Pd, anche se Bray è attribuito in quota a D’Alema, leader apparentemente non più massimo, anche se sarebbe interessante conoscere il parere del segretario in pectore Renzi. Potrebbero chiederlo le opposizioni, Forza Italia e Grillo, ma costoro sembrano più interessati alle elezioni anticipate, ai cui fini Pompei è insufficiente.
Paradossalmente, se non proprio le dimissioni, un “chiarimento” potrebbe essere chiesto dal Nuovo Centrodestra all’interno del governo stesso, dato il riflesso negativo a livello internazionale prodotto dal nostro lasciar andare in rovina questo sito unico al mondo. E, ora più che mai, la nostra immagine e credibilità è fondamentale per le sorti del Paese.
Dai crolli dell’epoca Bondi sono passati tre anni e tre governi, ma evidentemente ben poco è stato fatto se i crolli continuano. Il governo Letta ha emanato all’inizio di agosto un decreto, “Valore cultura”, trasformato in legge all’inizio di ottobre, che dovrebbe dare attuazione concreta a quello che è stato denominato ” Grande Progetto Pompei”, ampiamente citato in occasione di questi ultimi crolli.
Il ministro Bray, modernamente via Twitter, ha assicurato che i lavori di ripristino per il muro di Via Stabiana saranno i primi a partire, perché “Il danno, seppur limitato, necessita di intervento“. Forse le limitazioni di spazio su Twitter inducono ad emulare Monsieur de la Palisse. Il ministro dice anche che entro il 9 dicembre verrà nominato il direttore generale del Progetto Pompei. Vale la pena di ripercorrere sinteticamente la storia di questo progetto.
Il progetto è stato varato alla fine del governo Berlusconi IV e porta la firma del ministro ai Beni culturali Giancarlo Galan, successore del dimissionario Bondi, e del ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ed è stato poi preso in carico dal ministro competente del successivo governo Monti, Lorenzo Ornaghi. Ecco come veniva descritto il progetto: “un sistema organico di interventi di messa in sicurezza e restauro della parte scavata dell’area archeologica finalizzati ad arrestare e recuperare gli effetti dei fenomeni di ammaloramento degli edifici, degli apparati architettonici e di quelli decorativi, a contenere il rischio idrogeologico e a migliorare la fruizione generale del sito“.
Poco prima del Natale del 2011, l’Ufficio stampa del ministero dichiarava il progetto operativo già dal gennaio del 2012, grazie anche ai 105 milioni di euro stanziati dall’Ue, e assicurava che entro la metà anno sarebbero iniziati i lavori per 39 progetti già redatti. Pare che a tuttora siano stati aperti solo 5 cantieri e la Cisl afferma che a Pompei siano disponibili solo tre (3) operai della Soprintendenza, che da parte sua dichiara che i lavori di ripristino partiranno “con urgenza” a metà dicembre. A questo proposito, un comunicato del ministero del 3 dicembre 2013 conferma che sono partiti solo cinque cantieri, per l’appunto, che una seconda tranche di lavori partirà dalla metà del mese e una terza entro la fine. I primi restauri verranno completati a marzo 2014.
La nomina del direttore generale del progetto entro il 9 dicembre sembra necessaria per non perdere i fondi europei e c’è da chiedersi come mai da agosto il ministro non sia ancora riuscito a trovare un nome adatto. Forse, e più probabilmente, non è riuscito a trovare un accordo partitico, anche se dissidi con Letta sono stati smentiti da entrambi. Il rischio che tutto si insabbi nei veti incrociati e nelle resistenze delle burocrazie rimane elevato, e tanto peggio per le millenarie mura di Pompei.
Forse anche da questa situazione potrebbe originare la prudenza dei commentatori, perché il Progetto Pompei prevede la nomina anche di un vicedirettore generale, di cinque esperti e di una squadra di 20 funzionari, che avranno il compito di “gestire e coordinare gli interventi e gli appalti fuori e dentro il sito archeologico“. Non solo, perché è annunciata anche la costituzione di una nuova Soprintendenza speciale. Forse si è in attesa delle scelte dell’esecutivo, per magari valutare meglio i rapporti di forza al suo interno e allora sì lanciarsi in commenti più graffianti.
Credo che alla fine abbia ragione il sindacalista della Cisl: invece di tanti coordinatori, non sarebbe meglio avere più operai a Pompei per eseguire quei lavori di manutenzione che da tempo sono latitanti?