Le ragioni per le quali è giusto celebrare la memoria di Nelson Mandela sono ben riportate, a mio parere, nell’articolo di Renato Farina sul Sussidiario: ”La sua grandezza è consistita in questo. Nell’aver deposto l’odio, e pensato in termini di condivisione e riconoscimento reciproco, rifiutando la logica della violenza come motrice della storia, che pure da marxista aveva abbracciato”. Come scrive Farina, c’è da temere che non saranno queste, invece, le ragioni per cui sarà ricordato.

Molte reazioni alla sua morte , almeno qui in Italia, fanno intravvedere il rischio di una lettura parziale della realtà, che nella fattispecie non è certamente riducibile a un confronto ideologico tra buoni e cattivi. Ingiusto, da un lato, ridurre Mandela a un semplice terrorista, come nella deprecabile uscita del leghista veneto, ma strumentale, dall’altro, innalzarlo affrettatamente a un laico Olimpo. In entrambi i casi si fa torto all’uomo Mandela, per ignoranza o per calcolo opportunistico.

La dimensione a mio parere più vera di Mandela è quella di essere stato un simbolo, non nel vuoto significato che siamo abituati a dare a questa parola, ma nel suo senso pieno, di mettere e tenere insieme in nome di qualcosa che unisce. O, se si preferisce, di padre, prima ancora che di una Patria, di un popolo, come traspare dalla testimonianza di Simonetta De Paoli, ancora sul Sussidiario.

La riduzione ideologica sempre in agguato finisce per trasformare una persona, con le sue grandezze e i suoi limiti, in un mito astratto e intoccabile, ciò che abbiamo ben reso in Italia con “è vietato parlar male di Garibaldi”. E’ questo il risultato che si può ottenere, anche in buona fede, confinando il discorso su Mandela alla lotta contro l’apartheid.

Cinquant’anni fa, Martin Luther King tenne il suo più famoso discorso contro il razzismo negli Stati Uniti: “I still have a dream”. Non penso che le idee per cui il Mandela marxista passò 27 anni in prigione coincidessero con quelle espresse da King in quel suo discorso, ma credo che in esse si sia riconosciuto e, forse, ispirato il Mandela della riconciliazione. Il discorso di Martin Luther King va ben oltre la “semplice” lotta al razzismo, ma si amplia a una visione globale della società e delle relazioni tra gli esseri umani, lo stesso problema che si è trovato a gestire Nelson Mandela.

Nel tentativo di costruzione di un nuovo Sudafrica, Mandela non si è trovato di fronte solo i bianchi, anzi, una parte di questi ha collaborato con lui per l’eliminazione dell’apartheid, in coscienza o per realismo. In questi giorni si è spesso citato il premio Nobel per la pace attribuito a Nelson Mandela nel 1993, ma ben pochi hanno ricordato che, insieme a lui, fu insignito del premio anche Frederik Willem de Klerk, ultimo presidente bianco del Sudafrica e coprotagonista della svolta democratica nel Paese africano.

I neri erano, e sono, tutt’altro che uniti tra loro, per interessi, cultura e razza. Tra i xhosa, l’etnia di Mandela, e gli zulu, in gran parte aderenti al partito avversario IFP, vi era una decisa ostilità. L’ANC di Mandela aveva scelto la strada della lotta armata contro il governo dei bianchi, da cui l’accusa di terrorismo, mentre l’IFK l’aveva sostanzialmente rifiutata, con posizioni spesso considerate collaborazioniste.

Queste differenze portarono a sanguinosi scontri tra i due partiti nel periodo immediatamente precedente alle prime elezioni democratiche, a cavallo degli anni ’90, nei quali divenne non infrequente la pratica del linciaggio con il cosiddetto necklacing. Il corpo della vittima veniva costretto in un copertone pieno di combustibile, cui poi veniva dato fuoco. L’ANC, e credo anche personalmente Mandela, ha sempre ufficialmente preso le distanze da queste barbare azioni dei suoi aderenti.

E’ in questa situazione che assume grande valore l’azione di riconciliazione di Nelson Mandela e il ricordare la sua partecipazione agli anni di violenza, quella che da molti fu ed è considerata terrorismo, non diminuisce ma accresce l’apprezzamento per il suo tentativo di operare per il bene di tutto il suo popolo, bianchi, neri, xhosa e zulu. Perché ridurlo a un’icona utile alle proprie ideologie?