Caro direttore, La vicenda di Oscar Giannino e del suo fasullo, a quanto pare, master a Chicago si presta a diversi piani di lettura. Il primo è evidente nella dichiarazione che Luigi Zingales, cofondatore di “Fare per Fermare il Declino”, ha postato su Facebook per spiegare perché si è dimesso dalla lista.
Il professor Zingales elenca tre criteri alla base di Fare: onestà, trasparenza e accountability (suona decisamente meglio che “rendicontazione” e meno impegnativo di responsabilità), incompatibili con l’attribuirsi titoli accademici non veritieri. E continua: “In una organizzazione che predica meritocrazia, trasparenza, ed onestà, la prima reazione avrebbe dovuta essere una spiegazione di Giannino ai dirigenti del partito, seguita da un chiarimento al pubblico. Invece Oscar si è rifiutato, nonostante io glielo abbia chiesto in ginocchio”.
Di fronte a queste affermazioni, la replica di Giannino sembra abbastanza debole: quanto meno, avrebbe dovuto verificare meglio le affermazioni che lo riguardavano. Anche perché negli ultimi tempi casi simili si sono verificati in quei Paesi che i “Nostri” prendono come esempio per gli italiani, notoriamente pressapochisti, fanfaroni e cacciaballe, se non un po’ truffaldini.
In quei Paesi, dove regna il rigore e la trasparenza, anche per meno si dimettono presidenti e ministri, ed ecco il secondo piano di lettura. Logica vorrebbe che Zingales, di fronte alle “resistenze” opposte, secondo lui, da Giannino, avrebbe dovuto portare il caso al direttivo e chiederne le dimissioni. Invece, le ha date lui.
Nel suo post, Zingales dichiara di continuare a condividere totalmente il programma di Fare, che definisce “la proposta politica migliore in questo momento molto difficile”, e che quindi la voterà. Anche se aggiunge, con un minimo di contraddizione, “turandomi il naso, come il meno peggio”. Forse, si può riscontrare un certo moralismo. O forse, vi sono state altre ragioni di dissidio tra i due e il master è stato un opportuno casus belli.
Vi è però un’altra osservazione di carattere più generale, cioè la personalizzazione della nostra politica. Nella campagna in corso, più che a un confronto programmatico tra partiti, ci si trova di fronte a uno scontro tra persone, con un livello personalizzato di attacchi. La cosa non riguarda solo Berlusconi, che con il suo protagonismo ha praticamente distrutto ogni strategia per il partito che ha fondato. L’M5S è Grillo, Scelta Civica è Monti, Rivoluzione Civile si identifica con Ingroia e, credo, gli italiani hanno in mente molto più Casini che l’Udc.

Insomma, visto che l’attuale legge elettorale, avendo eliminato le preferenze, non permette ai cittadini di scegliere tra i candidati, le preferenze verranno date solo ai capipartito o, visto l’andazzo, ai capipolo. In effetti, il Pd si sottrae a questo fenomeno, a parte Renzi che è forse il solo ricordato tra i “rottamatori”, pur non essendo certamente l’unico innovatore.
Infine, si ripropone il problema sempreverde del rapporto tra forma e contenuto. Non vi è dubbio che sotto il primo aspetto vi possa essere una perdita di credibilità, tanto più importante per Giannino e la sua lista. Tuttavia, se le proposte di Giannino sono oggettivamente valide, tali rimangono anche se Oscar il master all’università di Chicago non lo ha preso. Giannino ha ragione nell’affermare che la credibilità sua e di ciò che afferma deriva da decenni di lavoro come giornalista economico, con o senza master.
Il punto è che Chicago, non solo l’università, ma la cosiddetta Scuola di Chicago, economisti che Fare tiene in buon conto, sono molto importanti per l’immagine in quegli ambienti. Mica stiamo parlando di un corso per corrispondenza ad Andorra! E ritorna il problema della forma.
Però, visto che gli americani hanno perdonato perfino Bill Clinton per il suo affaire, non potrebbero i Chicago’s boys perdonare anche Giannino? In fondo, come dicevano i miei vecchi: “non ti puoi far maestro”. Mai.