Secondo quanto riportato ieri da Italia Oggi, il Tar della Toscana ha accolto il ricorso di Dexia Crediop contro la delibera del comune di Prato che annullava, retroattivamente, le precedenti deliberazioni del 2002 e del 2006. Si tratta di operazioni con strumenti finanziari, gli ormai famosi derivati, che il comune intendeva annullare perché troppo onerose.
Il Tar ha cancellato la possibilità di annullamento per tutti i contratti con anzianità superiore ai tre anni, ma questi contratti sono tutti anteriori, come fa notare Italia Oggi, dato che la stipulazione di nuovi derivati è stata bloccata nel 2008 da Giulio Tremonti. Pertanto, i comuni non possono fare più niente, se non ricorrere in tribunale.
Vengono così alla luce un paio di contraddizioni. La prima è tra gli stessi magistrati, segnatamente tra Corte dei Conti e Tar Toscana, con la sua sentenza. Nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, il procuratore generale della Corte dei Conti, Salvatore Nottola, ha affrontato anche il problema dei contratti su derivati stipulati dalla PA, segnalandone la estrema pericolosità e citando, come esempio, il contratto stipulato dal governo con la Morgan Stanley nel 1994 e chiuso nel 2012 con una perdita di 2,6 miliardi di euro.
E’ strano che in una campagna elettorale in cui tutti hanno accusato tutti di tutto, di questo non si sia parlato, nonostante l’alta tribuna da cui veniva la segnalazione. Nottola continua scrivendo che la stessa Corte è riuscita solo a sapere che i derivati si stimano attorno ai 160 miliardi di euro, circa il 10% del debito pubblico in circolazione, ma che non è noto quanti di questi contratti contengano clausole di chiusura anticipata simili a quella alla base dell’esborso a Morgan Stanley.
Il procuratore invita poi gli amministratori a prendere azioni per evitare i danni che questi contratti potrebbero causare, pena l’incorrere in gravi responsabilità personali. Tra gli strumenti indicati, vi è l’annullamento d’ufficio in via di autotutela del contratto potenzialmente dannoso per l’ente, proprio la procedura utilizzata dal comune di Prato e ora rigettata dal Tar della Toscana.
Ci si potrebbe chiedere come possano succedere simili conflitti di giudizio tra Corte dei Conti e Tar. In realtà, il conflitto è tra il prevalere dell’interesse pubblico, che prevede l’annullamento di contratti in base al principio dell’autotutela, e l’evitare danni eccessivi derivanti dall’annullamento quando la controparte è privata.
Infatti, il Tar non mette in discussione il diritto all’annullamento da parte del comune di Prato, in base all’art. 21 nonies L. 241/90, ma ritiene “superiore” l’art. 1 comma 136 della legge n. 311/2004, che recita che l’annullamento “non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento”. Questo a protezione della controparte privata e per garantire certezza di diritto; il Tar fa anche presente che così si precisa temporalmente l’espressione generica “in tempi ragionevoli” prevista dall’altra legge.
A questo punto, lascio la discussione agli esperti di diritto, compresa la questione dei possibili conflitti internazionali, essendo spesso in questi contratti il foro competente quello inglese. Rimane il fatto che, se l’interpretazione del Tar toscano diventasse generale, gli amministratori locali rischierebbero di trovarsi esposti a dolorose cause di responsabilità.
Il problema principale non è, però, di carattere giuridico, bensì politico e cioè come tanti amministratori locali si siano fatti prendere dalla sbornia dei derivati, roba di cui non capivano un bel niente, come appare evidente. E’ senz’altro giusto proteggerli dalle banche, che hanno giocato sporco, spesso se non sempre, e comunque approfittando quanto meno dell’ingenuità delle controparti. Un po’, insomma, a quello che succede a noi privati cittadini.
Tuttavia, almeno la responsabilità politica dovrebbero assumersela. E altrettanto vale per i politici nazionali, visto il già citato enorme buco del Ministero del tesoro, dove gli sprovveduti non dovrebbero allignare. Alcune stime di analisti prospettano sui predetti 160 miliardi di derivati, perdite possibili di qualche decina di miliardi di euro.
Su tutto questo vi è una coltre di silenzio “per non peggiorare l’immagine del Paese”, si dice. Non facciamo ridere, i “mercati” sanno benissimo quel è la situazione, anzi la manovrano almeno in parte, e non hanno di certo bisogno delle dichiarazioni dei nostri ministri per muoversi.
Forse la verità è che i nostri politici temono il giudizio di noi italiani, che siamo invece all’oscuro, anche se saremo comunque noi chiamati a pagare. E allora, forza, ditecela la verità: noi sapremo di che morte morire e voi, forse, vi sentirete più onesti.