Tra i tanti argomenti su cui si accapigliano i protagonisti di questa scombinata campagna elettorale, vi è anche l’Europa, tanto che “ antieuropeista” è diventato un insulto quasi pari a fascista, e spesso ad esso unito. Ma di quale Europa si parla? Dell’Unione Europea a 27, dell’Eurozona a 17, dei Paesi virtuosi del centro-nord, o dei “maiali” (i PIGS, poi diventati PIIGS per includere anche l’Italia) periferici?
L’impressione è che questa Europa sia lontanissima dalla gente comune e che sia diventata per molti politici e commentatori un feticcio, politicamente corretto o scorretto a seconda della fazione cui si partecipa, e degli interessi diretti che in essa si hanno. Fino a considerare sovversiva la richiesta di referendum su qualche suo aspetto, lasciamo perdere sulla sua esistenza.
Non è un caso che, in tutto questo dibattito, non venga mai sollevato il problema dei costi di funzionamento della istituzione Europa, in un momento in cui la parola d’ordine è austerità e di spending review si sente parlare anche in tram. Eppure, i costi della estesa macchina burocratica e istituzionale europea non sono di certo indifferenti.
Sarebbe opportuno, perciò, capire il peso di questi costi sul bilancio europeo in discussione proprio in questo periodo. Sarebbe anche interessante sapere che ruolo il tema ha nei programmi dei vari contendenti i nostri voti. Io comincio a segnalare alcuni punti meritevoli di discussione.
Costi della burocrazia
E’ questa, in ogni Paese, una tipica voce di spesa da tenere sotto costante controllo, sia per evitare che esploda, sia per aumentarne l’efficienza e l’efficacia. I cittadini di ogni Paese hanno una percezione, comunque un’impressione, sul rapporto costi/benefici della loro amministrazione pubblica, alias burocrazia. Cosa sanno gli europei a tal proposito della macchina amministrativa europea?
Credo che gli europei considerino la burocrazia europea una specie di oggetto misterioso, uno dei tanti “porti delle nebbie” in cui i naviganti che possono si sistemano a spese di chi rimane in mare aperto. Non penso che ciò serva a rendere l’Europa più “appetibile” agli occhi degli europei, tanto più quando pretende di dare continue lezioni ex cathedra agli europei.
Questo è l’altro punto indigesto, la completa autoreferenzialità degli euroburocrati o, come amano dire i fan di questa Europa, sottolineo “questa”, degli eurotecnocrati, che suona molto più elitario. Una tecnocrazia che non è neppure riuscita a far unificare la tipologia delle prese elettriche, tanto per fare un esempio.
Costi istituzionali
Stupisce che non si parli mai della stranezza della doppia capitale, Bruxelles e Strasburgo, e ho la netta sensazione che, nella bagarre di organismi internazionali più o meno sconosciuti, molti non se ne ricordino neppure. E allora vediamo di riassumere.
Bruxelles è la sede della Commissione europea, del Consiglio dell’Unione europea e del Consiglio europeo, mentre Strasburgo è la sede del Parlamento europeo. La decisone per Bruxelles consentì di non scegliere tra i grandi Stati, e infatti l’Italia non ebbe niente, ma la Francia non rinunciò a far sentire il suo peso e ottenne Strasburgo, in Alsazia, una regione storicamente contesa tra Francia e Germania e con quest’ultima confinante. Per inciso, la BCE ha sede a Francoforte, come se fosse una propaggine della Bundesbank.
Il Parlamento si riunisce in plenaria dodici volte all’anno a Strasburgo e sei a Bruxelles, dove sono però le commissioni parlamentari e i gruppi politici. Inoltre, il segretariato è a Lussemburgo. Ovviamente, sedi del Parlamento vi sono in entrambe le “capitali” e, visto che gli eurodeputati sono 754, si tratta di palazzi di tutto rispetto, ed altrettanto costo.
Cosa giustifica questo spreco di risorse, in costi , tempo, trasferimenti ed efficienza? Verrebbe da dire solo il voler soddisfare le esigenze particolari di tre Stati, Belgio, Francia e Lussemburgo, per le cui economie ospitare le istituzioni europee è un bel traino. Perché non concentrare tutto in un’unica città, magari non in una capitale e in uno Stato più centrale rispetto all’Europa come è ora?
Costi della politica
Anche per la politica europea sarebbe il caso di fare una spending review, possibilmente non fallimentare, o meglio farsesca, come quelle messe in piedi dai nostri parlamentari. A quanto risulta, le disparità di trattamento tra gli europarlamentari sono notevolissime, essendo i singoli Stati a stabilire le condizioni. Eppure, si continua a parlare di unire, uniformare, ma costo di togliere sovranità ai singoli Stati; si potrebbe perciò effettuare anche qui una riforma che porti a maggiore equità, ad una maggiore efficienza e a una minore spesa.
Su tutto questo sarebbe interessante sentire il parere di qualche europarlamentare, ma soprattutto dei tre maggiori contendenti, senza nessun populismo e senza nessuna strumentale compiacenza. Anche i cittadini europei dovrebbero cominciare a interessarsi un po’ di più di questo preoccupante “fantasma di Banco” in cui si è trasformata l’Europa, ben lontana da quanto auspicavano i suoi, cattolici, padri fondatori.