Gli avvoltoi hanno cominciato a calare sull’Italia. Un’immagine forte, ma anche una possibile lettura di quanto riportava ieri Il Sole 24 Ore sulla richiesta di scorporo della Saipem contenuta nella lettera inviata a Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’Eni, da Eric Knight, gestore del fondo di investimento Knight Vinke Asset Management (Kvam). La lettura attenta della missiva del signor Knight (figlio di uno scrittore napoletano) attenua questa prima impressione. Kvam non può essere ascritto alla categoria dei vulture funds, i “fondi avvoltoi”, ma appartiene ai cosiddetti “fondi attivisti”, che intervengono attivamente nella gestione delle società partecipate. Tra i suoi clienti annovera istituzioni e fondi pensione americani, in particolare quello dello Stato della California.

La proposta di Eric Knight è di scorporare Saipem da Eni, senza però metterla sul mercato, per evitare le perdite dovute al crollo del suo valore dopo la questione delle tangenti in Algeria. La soluzione suggerita è che l’Eni scorpori Saipem, distribuendo le azioni in mano all’Eni (circa il 43%) ai propri azionisti, tra cui vi è la Cassa depositi e prestiti (Cdp) con il 26,36% e il Ministero dell’economia con il 3,93%. Lo Kvam detiene circa l’1% di Eni da diversi anni. Knight non fa che ripetere quanto aveva più volte suggerito, fin dal 2009, per Snam Rete Gas; Eni ha deciso una strada diversa e nello scorso ottobre ha venduto il 30% della Snam alla Cdp. In una lettera a Il Sole 24 Ore del 10/8/2011 riportata sul sito di Kvam, il gestore giustificava la proposta di ridistribuire le azioni con la necessità per lo Stato italiano di ridurre il suo enorme debito pubblico, senza aumentare ulteriormente la pressione fiscale già troppo elevata, ma privatizzando alcune aziende statali. 

Nel caso Snam, dopo la redistribuzione delle azioni, lo Stato avrebbe dovuto vendere il suo 30% di azioni, incassando circa 30 miliardi, secondo la stima di Kvam. A quanto pare, ora Knight sta proponendo lo stesso schema per Saipem, sottolineando che così lo Stato non dovrebbe sborsare neppure un euro, a differenza di quanto avvenuto con Snam. Niente avvoltoi, quindi, solo un attento gestore che sta cercando di valorizzare l’investimento in Eni dei suoi clienti, fondi pensionistici americani in testa. Resta il fatto che si tratta di aziende ritenute, correttamente, non solo di eccellenza ma strategiche, per le quali è impensabile l’uscita della mano pubblica e la vendita sul mercato. Ecco come Knight, nella citata lettera del 2011, ha risposto a questa obiezione: “Basta vedere in che modo e con quanta efficacia altre nazioni europee, quali la Francia e l’Olanda, riescono tranquillamente a mantenere il controllo di aziende altrettanto strategiche senza la necessità di investirvi un solo centesimo”. 

Sarebbe interesante che i nostri politici rispondessero a questa domanda, perché da noi non è possibile? Perché dobbiamo metterci soldi pubblici, altrimenti ce le soffiano? E già che ci siamo, perché se noi ce le vogliamo tenere, l’Europa dice che violiamo la libera concorrenza, ma chiude entrambi gli occhi se lo fanno Francia, Germania e via dicendo?

Temo che dovremo attendere a lungo per qualche risposta; torniamo quindi alla proposta di Kvam. Giustamente Antonella Olivieri, autrice dell’articolo, si chiede quale sia nell’operazione descritta il tornaconto di Eni e Saipem. Ragionando da azionista, Knight osserva che Eni ci ha già rimesso molto con la caduta in Borsa di Saipem e la sua proposta potrebbe procurare risorse fresche da investire altrove, come nei giacimenti recentemente scoperti in Mozambico.

Lascia più da pensare la risposta alla domanda su cosa ci guadagnerebbe Saipem. Knight ricorda che gli Stati Uniti hanno sviluppato una nuova tecnologia per estrarre gas da depositi finora non sfruttati (il cosiddetto shale gas, che ha portato a ridurre il prezzo del gas tradizionale, tranne che in Italia) e saranno presto autosufficienti, se non addirittura esportatori, mettendo ulteriormente in crisi l’estrazione di gas con metodi tradizionali, in cui opera Saipem. 

Secondo Knight, se Saipem fosse indipendente potrebbe ripensare le sue strategie in questo settore. La società è per il momento considerata solida, malgrado l’infortunio algerino causato dalla nostra magistratura e che potrebbe portare a un doloroso intervento di quella statunitense, butta lì Knight. Ma, senza ripensamenti di strategia anche radicali, che la dipendenza da Eni sembrerebbe impedire, il futuro potrebbe essere meno roseo. 

Il 63% di Saipem è sul mercato e, ormai da un mese, il suo prezzo oscilla tra i 20 e i 21 euro, con una perdita del 45% in sei mesi. Il dividendo previsto per quest’anno è di 0,68 euro, più del 3 % di rendimento ai corsi attuali. Parrebbe una buona occasione di investimento, e ci si potrebbe aspettare che Kvam vi investisse direttamente (magari lo ha fatto), ma invece Knight suggerisce al management di Eni di liberarsi di Saipem.

Anche tenendo per buone le rassicurazioni di voler rimanere in Eni un investore a lungo termine, non può non colpire il tempismo di questa lettera, inviata durante un periodo di vuoto governativo e con Paolo Scaroni sotto il tiro della nostra avvedutissima magistratura.

Chi può prendere decisioni strategiche in questa situazione? Alla fine, resta il fatto tragico che la nostra più grande azienda rischia di rimanere senza strategie chiare nel bel mezzo di una crisi globale, in cui gli “amici” europei sgomitano per farsi largo, anche a costo di scatenare una guerra, come in Libia. Se volete un altro esempio, date un’occhiata all’attivismo francese e inglese in India, immediatamente dopo l’intervento della nostra solita magistratura sugli elicotteri di Finmeccanica

Qualcuno a Roma, invece di continuare a “pettinar bambole”, potrebbe darsi una mossa?