Da qualche tempo la Goldman Sachs sembra essere interessata positivamente all’Italia. In una recente analisi, già commentata in un precedente articolo, la GS si dichiarava convinta della necessità per l’Europa di continuare con la politica di austerità, ma riconosceva gli sforzi fatti dal nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda l’avanzo primario di bilancio, che ci metteva alla pari perfino con la virtuosa per eccellenza, la Germania.
Ora, Jim O’Neill, presidente della Goldman Sachs Asset Management, nella sua rubrica Wiepoints prende in considerazione i risultati delle recenti elezioni e, a differenza delle generali reazioni della stampa estera, non ne dà un giudizio catastrofico.
L’analisi è interessante già dal titolo: “Riforma non è la stessa parola che austerità”, un punto direi interessante, visto che queste due parole sono diventate ultimamente strettamente interconnesse. O’Neill invece dice di non essere assolutamente convinto che attuare una politica di rigore fiscale fine a se stessa per ridurre il debito pubblico sia una politica intelligente, e non solo per l’Italia.
Premettendo che si tratta di prime reazioni, che si riserva di affinare la prossima settimana al forum Ambrosetti a Villa d’Este, O’Neill articola il suo giudizio sulle elezioni italiane su tre punti, di cui il primo riguarda il successo del M5S.
Anche il presidente di GSAM considera i risultati delle nostre elezioni quantomeno causa di incertezza, ma ritiene che il successo di Grillo possa, paradossalmente, essere una spinta a finalmente smuovere le stagnanti acque italiane, Infatti, per O’Neill, il problema principale è che il PIL italiano non si è praticamente mosso dalla nostra entrata nell’euro. Beh, credo che questo sia in fondo il motivo per cui molti hanno votato per il M5S, ma gli altri commentatori lo hanno lasciato un po’ nelle retrovie.
La ragione sta forse nella seconda osservazione di O’Neill, che definisce questo risultato un “incubo” sia per le élite italiane che per gli altri centri di potere in Europa, particolarmente per Berlino e Francoforte, perché mettono in discussione l’assioma che la riduzione del debito in sé sia una politica non solo meritoria, ma tale da attrarre consenso politico.
E’ questa un’osservazione che altri commentatori avevano già fatto, ma ritenuta “populista da molti politici europei. Ecco quindi la terza osservazione, ovvero che il problema principale dell’Italia è la mancata crescita, causa del debito, e che differenzia la situazione italiana da quella di altri Paesi europei. L’Italia, con l’aiuto della Germania e della Bce per tenere lo spread sotto controllo, deve attuare riforme, come quella del lavoro e quelle che possono aumentare la produttività.
O’Neill risottolinea quanto fatto dall’Italia per controllare il deficit di bilancio, facendo riferimento a una tabella da cui risulta che l’Italia, insieme alla Finlandia è l’unica con un saldo positivo previsto per il 2013. Perfino per la Germania vi sono previsioni leggermente negative, mentre pesanti disavanzi sono previsti per UK, Stati Uniti e Giappone.
Dalla tabella emerge, però, anche l’enormità del nostro debito pubblico (127,8% del PIL), in Europa superato solo dalla Grecia (181,8); per gli Stati Uniti si prevede 111,7% e per il Giappone il 245%! Resta anche il fatto che per gli altri Paesi l’incremento è stato particolarmente forte in questi ultimi anni e, in termini relativi, superiore al nostro, ma non possiamo certo prenderla né come giustificazione, né come consolazione.
A chiusura delle osservazioni relative all’Italia, O’Neill ribadisce il concetto già espresso nel titolo: “In Italia, riforma non equivale ad austerità, come gli elettori hanno appena dimostrato.” A Roma, Berlno e Bruxelles (magari anche a Helsinki) farebbero bene a pensarci a fondo. O anche Goldman Sachs è diventata populista?