Sembrerebbe la notizia del giorno, una notizia spasmodicamente attesa da migliaia di imprese e invocata a gran voce dal presidente di Confindustria: la Pubblica amministrazione paga finalmente i suoi debiti verso le imprese! Una grande notizia, visto che Giorgio Squinzi ha parlato di possibili nuove assunzioni fino a 250.000 unità, se fossero stati sbloccati almeno i due terzi dei circa 70 miliardi dovuti dalla Pa. Stima questa della Banca d’Italia, da molti ritenuta prudenziale; sembra infatti che l’Amministrazione non riesca neppure a calcolare quanti soldi deve.
Il Governo si dichiara ovviamente soddisfatto e Monti approfitta per riaffermare che i sacrifici sono dolorosi, ma alla fine pagano; il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, si precipita a sottolineare quanto sia comprensiva l’Ue; il Presidente Squinzi, cui viene attribuito il risultato a seguito del suo pressing, si dichiara parzialmente soddisfatto, ma dice che l’importante è ridare fiducia e questo è un primo passo.
Nel coro delle prime dichiarazioni, l’unica voce discordante sembra essere quella di Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio e Rete Imprese Italia, che dichiara: “Assistiamo ora all’ennesimo rinvio, di fatto, e senza individuare soluzioni immediatamente operative.” Le solite lamentazioni dei commercianti?
Leggendo le dichiarazioni del ministro dell’economia Grilli, sembrerebbe avere ragione Sangalli e l’impressione è che, per l’ennesima volta, su questo argomento si proceda per proclami. Lo stesso Squinzi, nel segnalare che il governo parla di 40 miliardi a fronte dei 48 richiesti, pone l’accento sulla necessità che le misure vengano prese rapidamente, ma il Consiglio dei ministri ha deliberato 20 miliardi “nella seconda metà del 2013” e altri 20 nel 2014; da parte sua, Tajani parla di risolvere il problema nel giro di 24 mesi.
Non so cosa intenda la Confindustria per tempi rapidi, ma queste sono scadenze che possono forse tranquillizzare le grandi imprese, ma che non mi pare risolvano i problemi delle Pmi: la metà del 2013 significa, se va bene, altri sei mesi senza incassare un euro, per aziende che magari aspettano da uno o due anni di essere pagate. Difficile dar torto a Sangalli quando dice che “ogni giorno che passa molte imprese chiudono perché lo Stato non onora i suoi debiti e questo è inaccettabile“.
Oltretutto, il governo in carica nella “seconda metà del 2013” sarà comunque diverso da quello attuale, e sarà il nuovo a dover tener fede agli impegni presi dal precedente. La procedura prevede, se si è capito bene, un decreto “che determini le forme e modalità” attraverso cui attuare i pagamenti, decreto che, suppongo, dovrà essere convertito in legge in Parlamento. Grasso ha già assicurato corsie preferenziali al Senato che si possono prevedere anche per la Camera, ma è comunque prevedibile che niente sarà operativo prima della fine dell’anno.
Mesi ancora di attesa, quindi, sempre che nel frattempo non si vada a elezioni anticipate. Eppure, il problema è sul tavolo ormai da anni, in cui ci è stato detto che il problema erano l’Europa e i mercati, che non ci consentivano un aumento del deficit e del debito. Notoriamente, ai mercati interessa la ripresa e ora l’Ue ci ha dato via libera: perché, allora, il governo non si precipita in Parlamento con un decreto già pronto con modalità e criteri di pagamento? Dobbiamo pensare che nel frattempo non è stato preparato niente e che si è ancora al punto iniziale?
Se la credibilità del provvedimento è quantomeno incerta circa i tempi di pagamento, il buio più completo vi è per il momento sui criteri con cui verranno scelti i debiti da onorare. Si seguirà un oggettivo criterio cronologico, pagando per primi quelli scaduti da più tempo? Si preferirà invece un criterio più “soggettivo”, per esempio dando la precedenza ai settori in crisi e alle imprese più indebitate e quindi più a rischio di chiusura? Si privilegeranno le Pmi, notoriamente più esposte alla stretta del credito, rispetto alle grandi imprese? In altri termini, si approfitterà di questa occasione per attuare una sorta di politica industriale o ci si atterrà strettamente a criteri legali e amministrativi?
Sarebbe opportuno che il governo chiarisca al più presto come intende agire. Il rischio è che, come già in passato sotto il governo Berlusconi, che si finisca nella palude della Pa e che il criterio sia quello burocratico delle certificazioni, dei timbri, delle procedure e via dicendo, annullando ancora una volta tutto quanto. In fondo, sta iniziando probabilmente una nuova campagna elettorale e, come noto, “Parigi val bene una promessa”. Tanto più se fatta sulle spalle di chi verrà.